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E' difficile rinunciare all'idea di una certezza del diritto proprio come è difficile non affidarsi alla macchina digitale 'intelligente'. Ma propio nell'accettazione di questa difficoltà sta lo spazio di una possibile giustizia, oggi. Seguendo Amartya Sen, possiamo dire: invece di accanirci a stabilire cos’è la giustizia ‘in principio’, facciamo il possibile, qui ed ora, anche magari per tentativi e errori, accettando l’imperfezione, facciamo il possibile per invertire il circolo vizioso della povertà e dell’ingiustizia.


Sono presidente di Assoetica, una associazione nel cui statuto c'è scritto che ci impegniamo a sostenere in ogni sede il principio che l’etica è una caratteristica distintiva degli esseri umani. E' una scelta di campo in un tempo in cui molti pensano che solo serva l'ausilio di macchine per definire l'etica, e metterla in pratica.

Vale la pena sempre di usare metafore, guardare lontano e di lato per tornare sul punto. Ricordiamo allora che in Giappone nei monasteri buddisti ci sono robot che insegnano agli umani la misericordia e la compassione. Nel buddismo, la compassione significa sperimentare il desiderio del bene nei confronti di ogni essere senziente. Abbiamo bisogno per questo di macchine? Non è forse una fuga dal meditare, dal cercare sé stessi, affidarsi a monaci Robot?

Dobbiamo chiederci se analogamente interponiamo, per via di una qualche macchina, di una qualche intelligenza artificiale, una nuova distanza tra noi e la giustizia.

Delegare a macchine

Forse ci scandalizziamo troppo poco per queste deleghe a macchine, per queste fughe in avanti. Esistono tecnici, esperti, che seguono questa via: cercare l'affidamento a macchine, considerare ormai inevitabile considerare macchine implicate in qualsiasi attività umana. Quindi anche nella definizione stessa del concetto di giustizia, e nella sua applicazione.

In quanto cittadini, invece di adeguarci a questa lezione, ci conviene tornare alla storia, alla nostra storia. La giustizia come originaria ricerca umana, esistente prima di ogni relazione con macchine. Esistente a prescindere dall'uso di ogni macchina.

Lo spirito di Ventotene

Serve quindi di questi tempi, ricordare a noi stessi storie che nulla hanno a che fare con macchine esistenti o possibili. Ricordiamo quindi la storia di cosa emerse a Ventotene, tornata di attualità tempi recenti: non solo l'idea dell'Europa unita, ma anche, o prima ancora, l'idea di un patto fondativo, una costituzione, e una idea di giustizia.

Vale quindi la pena di ricordare come dalla lezione di Spinelli, e ancor più di Eugenio Colorni, è discesa una idea di giustizia che giunge fino a personaggi apparentemente lontani: Albert Hirschman e Amartya Sen.

Sen ci ricorda che non serve stabilire un principio astratto di giustizia. Più dei codici e della giurisprudenza, cui tramite macchine oggi possiamo accedere così facilmente- conta la produzione delle norme: quindi la democrazia parlamentare. Dice Sen: conta sopratutto oggi rompere, nella pratica, a livello globale, rompere il circolo vizioso dell'ingiustizia e della povertà.

Cittadinanza attiva

Questo richiede impegno diffuso, cittadinanza attiva. Di fatto oggi è si è in presenza di una facile tentazione che allontana da questo atteggiamento: affidarsi alla macchina. Nascondersi dietro all'idea che una macchina se ne occuperà al posto nostro.

Oggi, per esempio, si considera un obiettivo di giustizia importante combattere l'odio presente sulla Rete. Ma ci si propone di combatterlo tramite l'intelligenza artificiale, che è in realtà fonte ed amplificatore di questo odio.

Non bastano quindi norme e costituzioni ben scritti. Con questo siamo in fondo ancora all'affidarci a macchine. La Costituzione di Weimar era la più perfetta delle macchine costituzionali. Ma proprio come un software aveva la sua backdoor, la sua porta di servizio: prevedeva lo stato d'eccezione, prevedeva i casi in cui, a causa di motivi eccezionali ed urgenti poteva essere sospesa. Si sa che così, nel rispetto di quella Costituzione, andò al potere Hitler. Trionfò cioè l'ingiustizia.

Di fronte a questi limiti della democrazia formale, conviene dare ascolto ad Amartya Sen. Che ci dice: mentre i padri costituenti stabiliscono le loro norme perfette, l'ingiustizia dilaga.

La lezione di Amartya Sen

Meglio quindi attenersi, ci dice Sen, ad una definizione di democrazia che accetta l'imperfezione e dà valore ai tentativi: la democrazia è discussione in pubblico.

E' difficile rinunciare all'idea di una certezza del diritto proprio come è difficile non affidarsi alla macchina digitale 'intelligente'. Ma propio nell'accettazione di questa difficoltà sta lo spazio di una possibile giustizia, oggi.

Si tratta quindi di accettare la complessità del mondo. Piuttosto che cercare rappresentazioni perfette del mondo, partecipare -per quanto è possibile ad ognuno di noi- alla costruzione di un mondo meno ingiusto.

Non sta a noi definire cosa sarà considerato importante dai nostri figli, e da ogni generazione futura. Non sta a noi definire per loro gli ‘standard di vita’. A noi compete la responsabilità di lasciare agli altri lo spazio per scegliere in libertà quale vita vivere.

Per cogliere i trend, i segnali deboli, conviene essere disposti ad ascoltare la voce altrui. Ascoltare chiunque e dare spazio anche alle opinioni con le quali si è in franco disaccordo. L’esclusione è in sé una ingiustizia, ed è anche fonte di ulteriori ingiustizie, perché, ritiene Sen, solo tramite il dibattito in pubblico cresce una società meno ingiusta.


Nota

Questo testo è la rielaborazione della traccia del mio intervento nell'incontro Digitale e Giustizia... Quale impatto? Incontro tenuto a Pavia il 29 Marzo 2025, organizzata dai Liberi Universitari Pavesi. Il mio intervento aveva per titolo: Il concetto di giustizia nell'era digitale.

Pubblicato il 10 aprile 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

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