Attualmente si assiste ad una deriva delle scienze psi- verso la sanitarizzazione delle cure, il cui processo inarrestabile sta prendendo forma nell’applicazione di modelli teorici e terapeutici standardizzati con la perdita di riguardo verso l’unicità del bisogno personale e delle storie di vita, anche e soprattutto dei più piccoli. Nella pratica si evidenzia un’attenzione particolare per la categorizzazione clinica della manifestazione sintomatologica e per la risoluzione o il contenimento della criticità, in assenza di una considerazione più profonda dei suoi motivi e della capacità di sostenere il bisogno avendone cura. Nel progredire specialistico delle scienze psicologiche e psichiatriche di questi ultimi decenni qualcosa sembra essere rimasto indietro; certamente la trasmissione del sapere non si è dimostrata adeguata alla coltivazione di quella dimensione etica invece necessaria per la costruzione di una società di cura, e che rappresenterà sempre una ricchezza di senso per la vita degli esseri umani.
Quale formazione per i cultori delle scienze umane e per gli operatori della salute mentale?
L’educazione alla cura dovrebbe essere un dovere di ogni società che voglia dirsi civile, affinché ogni persona possa ricevere l’aiuto di cui necessita. A tal fine è necessario consentire alle giovani generazioni di studenti la pratica dell’esercizio filosofico e umanistico, e nondimeno fornire loro l’opportunità di conoscere il progresso delle società nel modo di aver cura delle fragilità. Qualora nelle scuole, e nei corsi universitari e di specializzazione, venga limitata questa opportunità diventa complicato, per un cittadino, o futuro operatore, riuscire ad esercitare la propria capacità di cura, e non essere condizionati dal pregiudizio dallo stigma della malattia mentale che ancora permea la nostra cultura. La pratica della cura, come dimensione collettiva, non consiste nell’acquisizione di metodologie a beneficio del solo esperto, ma piuttosto nell’edificazione di un habitus che possa permettere ad ognuno di mettere al centro la persona umana come valore.
L’educazione alla cura dovrebbe essere un dovere di ogni società
Dalla nave dei folli alla pratica di istituzionalizzazione l’umanità ha messo in atto un approccio di distanziamento e di violenza sui più fragili senza con questo aver risolto il problema della sofferenza, ma casomai ampliandola a dismisura [M. Foucault, 1961]. Alla prassi violenta del Manicomio è stato posto fine con l’opera di Riforma psichiatrica [180/1978], di cui F. Basaglia e il suo gruppo sono stati protagonisti, rivelando l’infondatezza delle basi teoriche della psichiatria organicista e promuovendo una nuova visione del medesimo attraverso la fenomenologia. La filosofia ha avuto in tutto questo un ruolo fondamentale, non solo nel ‘900 ma in generale nella storia dell’umanità. L’essenza della fenomenologia, che è alla base di ogni pratica filosofica [H. G. Gadamer, 1983], abita nella possibilità di stare nella domanda e di interrogarsi sul senso e sul non-senso; una possibilità che non dovrebbe mai essere sottratta quando si affrontano le problematiche legate ai fenomeni umani. La grande trasformazione della cultura è stata possibile grazie all’orientamento filosofico che si andava delineando in Francia e in Germania, e a cui F. Basaglia e Antonio Slavich (suo allievo e collaboratore) hanno contribuito, ponendosi in dialogo con i maestri del pensiero [L. Di Adamo, 2024]. Il nuovo orizzonte di senso, introdotto nell’Ospedale psichiatrico di Gorizia, ha permesso quella rivoluzione della psichiatria che poi è divenuta una trasformazione epocale della cultura della cura.
Nonostante l’importanza della filosofia, questa ultima è stata estromessa dalla formazione degli operatori. Il paradigma biomedico, che ha animato la disciplina psichiatrica dalla fine del ‘700, ha continuato ad influenzare la contemporaneità, portando l’opinione comune a pensare che il disagio sia sinonimo di malattia e di inguaribilità, e che per esso siano necessarie delle soluzioni rigorose e tempestive che contengano il sintomo. In assenza di un pensiero critico che possa essere affiancato all’uso delle metodologie non rimane che l’applicazione indiscriminata di soluzioni veloci a problemi complessi, ma tutto questo non sfiora neppure il senso delle cose che invece anima ogni nostra esperienza, soprattutto nella sofferenza. L’atteggiamento fenomenologico di F. Basaglia e dei suoi collaboratori, fin dagli inizi a Gorizia, ha permesso il cammino di emancipazione dalla violenza del Manicomio, concretizzando la «migliore delle psichiatrie possibili», come afferma Eugenio Borgna [2022], e portando ad un cambiamento nel modo di considerare la sofferenza, non come accidente da eliminare, ma come un fatto specificatamente umano di cui aver cura [F Basaglia, 1979].
"Non è che noi prescindiamo dalla malattia, ma riteniamo che per avere un rapporto con un individuo, sia necessario impostarlo indipendentemente da quella che può essere l’etichetta che lo definisce. Io ho un rapporto con un uomo non per il nome che porta ma per quello che è. […] Ciò che importa è prendere coscienza di ciò che questo individuo è per me, qual è la realtà sociale in cui vive, qual è il suo rapporto con questa realtà." - Franco Basaglia, L’ istituzione negata, pp. 31-32
Cosa ne sanno le giovani generazioni della storia della psichiatria e della fenomenologia?
Cosa ne sanno le giovani generazioni della storia della psichiatria e della fenomenologia? E quanto è rimasto di quanto avvenuto nella cultura generale? Cosa conoscono gli operatori del Manicomio e delle battaglie per la conquista dei diritti? E quale considerazione possono avere della legge 180 che regola il loro operato? F. Basaglia ha introdotto nella cultura una nuova visione della cura che ha portato l’Italia ad essere un modello nel mondo [OMS, 2003], un riconoscimento purtroppo poco noto, che invece dovrebbe essere divulgato maggiormente. L’assenza del pensiero di Franco Basaglia nel panorama culturale attuale, quale pioniere della moderna visione della salute mentale, e maestro dell’antropo-fenomenologia in Italia, si può osservare, a mio avviso, come una delle cause della deriva patologizzante e custodialista della cultura odierna [L. Di Adamo, 2024], dalla quale gli umanisti sono stati estromessi. La deviazione verso il razionalismo delle terapie è stata senz’altro agevolata dall’assenza delle discipline filosofiche e umanistiche nei corsi universitari, destinati ai futuri cultori delle scienze umane e agli operatori della salute mentale, con la rimonta delle scienze e delle tecniche. Chi si laurea in filosofia ignora l’esistenza del pensiero e dell’opera di F. Basaglia, e lo stesso si può dire di chi si laurea nelle discipline dedicate alle professioni di aiuto. La dimensione filosofica che ha animato la rivoluzione sanitaria, e che è stata alla base del sistema di cura in Italia, rimane ancora oggi un fatto non degno di nota, mai nemmeno accennato durante il percorso di studi. Chi è nato senza il Manicomio non può conoscerne l’aberrazione, e nemmeno comprendere la lunga storia di lotte che sono state necessarie per la conquista del diritto alla cura. Spesso si dà per scontato anche il Sistema Sanitario Nazionale [833/1978] come se fosse sempre esistito. L’assenza dell’opera di F. Basaglia rappresenta ad oggi una grave omissione per la nostra società e per l’intera popolazione, che dovrebbe, invece, conoscere come la società in passato si è occupata della sofferenza e come è avvenuta la conquista dei diritti, così da continuare a adoperarsi per la tutela della libertà e della cura, senza ripetere gli errori del passato.
Basaglia non ha promosso solo la chiusura del Manicomio, come si legge spesso, ma ha permesso di avere una nuova visione del mondo agendo su un terreno più vasto della sola psichiatria, e incidendo in maniera indelebile sul destino dell’umanità, come succede ogni qual volta entra in campo la pratica filosofica che non è mai un vuoto pensare ma una pratica di virtù inserita nella vita. Senza F. Basaglia oggi avremmo un mondo diverso, un mondo indubbiamente peggiore.
"Ho l’impressione che noi abbiamo agito su un aspetto settoriale di un problema molto più vasto e generale, che non riguarda solo il manicomio: quello del rapporto di potere che esiste all’interno dell’istituzione e nei rapporti interpersonali." - Franco Basaglia, La nave che affonda, p. 18
Nell’epoca attuale diviene importante rilanciare la fenomenologia nella cultura accademica e universitaria perché il pregiudizio nei confronti del diverso possa essere rivisto nella sua realtà paradigmatica, e perché ogni operatore possa finalmente divenire consapevole del rischio che corre, nell’abuso del proprio potere, quando incontra una persona fragile.
"Mi sembra che per parlare del malato non-malato, della follia non-follia, sia necessario vedere storicamente tutta la situazione istituzionale. Per esempio se ricevo una persona che non ha un rapporto con me perché io non capisco cosa dice, e che quindi io considero al di fuori della logica, cioè folle, ho due possibilità: o mi metto nella posizione di Kraepelin che, dopo aver passato decine di anni a catalogare le domande di queste persone, le ha classificate in sindromi psichiatriche - e questo è un modo di etichettare, di rispondere all’aggressione che mi fa il malato con la sua follia - oppure devo considerare che cosa vuole questa persona. Ciò non è possibile in termini psicodinamici o psicologici. Bisogna vedere quanto conta per me e che rapporto di potere ho con lui." - Franco Basaglia, La nave che affonda, p. 19
Il pericolo di un pensiero razionalizzante, tendente ad escludere e a controllare chi esprime una differenza, deve poter essere limitato a partire dalla conoscenza degli errori già commessi, e dalla costruzione di un’etica su cui fondare le azioni per il perseguimento della vita buona [Aristotele, IV sec. A.C.]. Rilanciare la storia della psichiatria e la filosofia della cura nelle università e dalle scuole di specializzazione in psicoterapia, rappresenta, a mio avviso, una grande opportunità per il presente, ma anche per il futuro, perché permette di costruire esperienze di incontro e di sostegno migliori, e al contempo favorisce quella memoria di investimento necessaria per il futuro della salute mentale.
La fragilità umana, come essenza della vita. Un problema filosofico
La fragilità umana, in ogni sua forma, rappresenta un problema filosofico prima che sociale, ineliminabile, di cui la comunità umana ha fatto fatica ad occuparsi, e la nave dei folli, così come il Manicomio, ne rappresenta l’emblema.
"Affidare il folle ai marinai significa evitare certamente che si aggiri senza meta sotto le mura della città, assicurarsi che andrà lontano, renderlo prigioniero della sua stessa partenza. Ma a tutto questo l'acqua aggiunge la massa oscura dei suoi valori particolari; essa porta via, ma fa ancora di più: essa purifica; e inoltre la navigazione abbandona l'uomo all'incertezza della sorte; là ognuno è affidato al suo destino, ogni imbarco è potenzialmente l'ultimo. È per l'altro mondo che parte il folle a bordo della sua folle navicella; è dall'altro mondo che arriva quando sbarca. Questa navigazione del pazzo è nello stesso tempo la separazione rigorosa e l'assoluto Passaggio." - Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, p. 70
Il libro Storia della follia nell’età classica[1] di M. Foucault del 1961 mostra come il volto della follia abbia ossessionato in modo profondo l’immaginazione della società occidentale. Stultifera navis è il titolo del primo capitolo del libro di M. Foucault, ripreso dall’opera mitologica di Sebastian Brant (nella traduzione latina di Das Narrenschiff)[2], nella quale in forma satirica l’autore narra di un carico insensato che veniva affidato al mare: metafora importante del modo in cui è stata trattata la sofferenza nell’epoca medievale. In questa opera di archeologia del sapere viene riportata in luce, nella sua verità storica, la pratica di allontanamento delle persone considerate scomode. M. Foucault spiega come questa usanza non rappresenti solo un mito, ma una maniera scelta per combattere il pericolo della malattia e della fragilità.
"I folli allora avevano spesso un'esistenza vagabonda. Le città li cacciavano volentieri dalle loro cerchie; li si lasciava scorrazzare in campagne lontane, quando non li si affidava a un gruppo di mercanti o di pellegrini. L'usanza era frequente soprattutto in Germania; a Norimberga, durante la prima metà del XV secolo […] Accadeva spesso che venissero affidati a battellieri: a Francoforte, nel 1399, alcuni marinai vengono incaricati di sbarazzare la città da un folle che passeggiava nudo; nei primi anni del XV secolo un pazzo criminale è spedito nello stesso modo a Magonza. Talvolta i marinai gettano a terra questi passeggeri scomodi, ancor prima di quanto avevano promesso; ne è testimone quel fabbro di Francoforte, due volte partito e due volte ritornato, prima di essere ricondotto definitivamente a Kreuznach. Le città europee hanno spesso dovuto veder approdare queste navi di folli." - Michel Foucault, Storia della follia, p. 67
A partire dalla comparsa della lebbra in Europa, fino ad arrivare all’esperienza dell’isolamento del folle con l’internamento, M. Foucault mostra come i concetti di malattia e pericolosità siano diventati sinonimi, e come questo parallelismo, dal XVII secolo, sia entrato a pieno titolo nella cultura psichiatrica decretando i tratti specifici del folle, segno della differenza con il mondo dei sani. Questo pregiudizio è stato combattuto dall’opera di Riforma psichiatrica, ma continua a permeare la nostra cultura alimentando l’idea che sia necessario tutelare la società dei sani da quella dei malati mentali con l’allontanamento o il contenimento di chi presenta delle difficoltà.
Da questa follia non si può guarire, della nave non si può fare a meno: questa era l’opinione a fondamento di un agire teso a liberare la società dal male, e questo, purtroppo, è l’orizzonte di senso che sembra stia tornando ad animare la nostra contemporaneità e le esperienze di cura. Per tale ragione, è importante ripensare la formazione e tornare a ragionare insieme ai giovani su cosa sia la fragilità dell’esistente e su cosa vogliamo sia la cura.
Per una fenomenologia della cura contro il razionalismo del bisogno. Una proposta di rinnovamento delle esperienze di cura
La storia dell’umanità mostra come la comprensione del «mondo-della-vita» [E. Husserl, 1935] delle persone che attraversano l’esperienza della fragilità psichica non può avvenire se non in un orizzonte di reciprocità e di rispetto per il sentire altrui, in assenza del pregiudizio derivante dalle teorie preimpostate [L. Binswanger, 1936]. Non si dovrebbe mai smettere di ascoltare la voce delle persone e dei familiari, tutelando la loro possibilità di espressione [P. Dell’Acqua, 2020].
Il pericolo di una deriva patologizzante di ogni ambito della cura è reale, in particolare nella neuropsichiatria, per la qual cosa è necessario iniziare ad agire in favore di spazi dialogici aperti, dove incontrare la persona e gli altri significativi costruendo possibilità diverse di cura. La partecipazione delle diverse figure (educatori, insegnanti, volontari, pedagogisti, filosofi, ecc.) alla promozione della salute mentale rappresenta una forma di resistenza a questa deriva, e così pure la costruzione di una rete di sostegno socio-educativa intorno alla famiglia che possa permettere di accogliere i significati espressi dal disagio vissuto e offrire ciò che serve nella specifica situazione [L. Di Adamo, 2022]. A tal fine, riattualizzare ciò che ha funzionato in passato è necessario, promuovendo nella cultura una maggiore conoscenza delle opere dei maestri del pensiero che hanno permesso il progresso della società umana nel modo di aver cura della fragilità costitutiva, dando seguito a quella psichiatria umanistica e sociale che ha dimostrato di essere adeguata al mantenimento del ben-essere delle persone.
Franco Basaglia e l’invito ad impegnarsi per il mantenimento di una società di cura
L’opera di umanizzazione della psichiatria di F. Basaglia ha insegnato che la cura non può limitarsi alla definizione di una diagnosi e di una terapia, poiché necessita di confronto e della possibilità di intendimento su un terreno comune, che è quello della condivisa fragilità. La cura, in tal senso, può essere considerata la cifra stessa dell’essere umano [M. Heidegger, 1927], un’opportunità che esige la disponibilità ad una dialettica con la contraddizione che anima l’esistere, andando al di là del pregiudizio diagnostico e promuovendo anche fra gli operatori un dialogo continuo [N. Calderaro, 2015]. La visione positivista della psichiatria, che ha raggiunto il suo massimo con la pratica di istituzionalizzazione manicomiale, ha posto le basi per l’affermazione di quella cultura della malattia mentale che oggi rischia di tornare a definire la violenza come la sola possibilità di contenimento delle problematiche vissute.
"Siamo in una situazione abbastanza singolare perché mentre noi cerchiamo di costruire le palafitte, che non tengono perché le buttano giù continuamente, gli altri cominciano a fabbricare alternative molto più efficienti. È il problema della tecnica al di là dell’istituzione che permette di mantenere la situazione strutturale della vecchia cultura." - Franco Basaglia, La nave che affonda, p. 26
Negli ultimi decenni la ricerca e il metodo hanno assunto un taglio biomedico incentrato sul concetto di diagnosi e prognosi, e sul dato validato, ed è stato posto in ombra il valore che invece ha avuto l’esercizio di «sospensione del giudizio» (epoché) [Pirrone, IV sec. A. C.] nell’incontro con-l’altro, e per la sua comprensione. Il fatto di anteporre delle teorie pregresse ad ogni nuovo incontro sta limitando il valore dell’ascolto e della relazione tra chi cura e chi è curato. Poter coltivare il dubbio, per un operatore o operatrice, vuol dire inoltrarsi nella possibilità di interrogarsi insieme all’altro in merito alla criticità vissuta, assumendo il compito di far fronte al bisogno come «comunità di destino» [E. Borgna, 2013], affrontando, dunque, il problema della comune normalità [E. Venturini, 2022]. A tal fine, una rifondazione filosofica delle scienze della salute mentale si pone come essenziale, affinché gli operatori possano scegliere di mettere la persona al centro quale valore primario, e affinché la psichiatria e la psicologia possano avere ancora un futuro come «discipline umane e gentili» [E. Borgna, 2022].
Un monito che arriva dal passato ad illuminare la contemporaneità
Il monito del pericolo di un ritorno al passato lo troviamo già nel 1977 nelle parole di F. Basaglia raccolte nel libro La nave che affonda [F. Basaglia, et all. 1978], che riporta il confronto di idee fra alcuni protagonisti del processo di Riforma, impegnati a ragionare su come far fronte al rischio di un ritorno al Manicomio. Il confronto avveniva un anno prima della promulgazione della legge 180 e F. Basaglia venne a mancare, prematuramente, poco dopo.
La nave che affonda (che dà il titolo al libro), rappresenta, nelle parole di F. Basaglia, il paradigma di una nuova epoca: la fine della pratica di istituzionalizzazione dopo una lunga lotta attraverso le istituzioni, con l’attuazione di un nuovo umanesimo e dell’inabissarsi della roccaforte del pensiero psichiatrico organicista: il Manicomio, sede di violenza legalizzata sotto forma di cura.
Il sottotitolo del libro, Psichiatria e antipsichiatria a dieci anni da «l’istituzione negata»: un dibattito, rivela l’urgenza di un confronto circa il pericolo di una possibile restaurazione dei poteri violenti contro i più deboli. Simbolica è l’immagine di H. Bosh sulla copertina.
Come i maestri del pensiero filosofico antico, F. Basaglia pone al centro la contraddizione insita nel rapporto tra le persone e le istituzioni, qualcosa che attenderà sempre l’impegno comune per il perseguimento del ben-essere.
"Ciò significa che non si può eliminare la sofferenza psichica istituzionalmente, cioè se tu realizzandola nella categoria della malattia mentale. Quello che va affrontata è la sofferenza generale. Ma l’organizzazione sociale non può operare in questa direzione perché solo se affronta problemi settorialmente può controllarli, altrimenti si distrugge." - Franco Basaglia, La nave che affonda, p. 45
Le parole di F. Basaglia segnano una rotta per la costituzione di una dimensione etica necessaria, affinché gli individui e le società di ogni tempo, già da sempre in pericolo se non si coltivano le virtù e la memoria, possano fare fronte alla malattia, alla differenza e al disagio vedendole come qualità appartenenti alla condizione umana e non come elementi da eliminare.
"Recentemente ci siamo incontrati vicino ad Arezzo per una riunione sui rapporti tra medicina e psichiatria. Nel mio intervento, in relazione al problema specifico della nostra professione in seno all’istituzione manicomiale, ho sottolineato come quest’ultima, spesso paragonata ad una nave che affonda nel mare in tempesta, sia oggi definitivamente affondata. Ciò che resta è il mare tumultuoso in cui noi dobbiamo affrontare la vita, non la malattia o la salute. È come se in questi dieci, quindici anni, di lavoro avessimo fatto buchi dappertutto in questa nave o evidenziato le falle già esistenti. Una volta constatato che non andava a fondo, abbiamo cominciato a buttare in mare il carico dalla stiva, gli alberi, le gomene, la nave in pezzi e abbiamo bruciato questi pezzi che però continuano, tuttora, nella logica del delirio ecologico, a infestare l’atmosfera. Il problema attuale è che ci troviamo nella stessa situazione di Cortés dopo aver bruciato le navi: non abbiamo alcun ponte alle spalle per riprendere a veleggiare sicuri del mare." - Franco Basaglia, La nave che affonda, pp. 24-25
Per ricostruire una cultura della cura è necessario continuare a condurre il ragionamento ripensando i nostri saperi e le esperienze di cura in uso, senza cedere all’inganno del razionalismo. Reintrodurre la filosofia e il pensiero di Franco Basaglia nelle scuole di ogni ordine e grado, e nondimeno promuovere la partecipazione delle persone al tema della salute mentale, può rappresentare la maniera migliore per promuovere questa riflessione.
Abbiamo bisogno che le parole della cura tornino a circolare e che le persone tornino ad abitarle, non senza affanno visti i tempi difficili, ma con la consapevolezza che questo sia ciò che si deve fare.
Loredana Di Adamo
Dott.ssa in Filosofia Teoretica Psicologa Clinica
Bibliografia
Basaglia, F., (a cura di), L’istituzione negata, Einaudi, Torino 1968
Basaglia, F.; Ongaro Basaglia, F.; Pirella, A.; Taverna, S., (1978), La nave che affonda, Raffaello Cortina, Milano 2008
Di Adamo, L., Filosofia e clinica. Un nuovo approccio all’autismo di livello 1 e alla neurodiversità, Negretto, Mantova 2022
Di Adamo L., Della cura. Studi fenomenologici e salute mentale, Negretto, Mantova 2024
Foucault, M., (1961), Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano 2020
Note
[1] Michel Foucault è stato un rappresentante di spicco del panorama culturale dagli anni ’60, di cui si riconosce meno l’importanza della sua attività in ambito clinico. Nei corsi per i cultori delle scienze umane si affronta poco il Foucault psicologo, e lo stesso si può dirlo dei corsi dei futuri operatori della salute mentale, nei quali non viene diffusa la sua opera di archeologia del sapere, derivante non solo dalla ricerca di una vita ma anche dalla sua esperienza di psicologo presso il servizio psichiatrico del professor J. Delay presso l’Hopital Sainte-Anne a Parigi.
[2] Il mito della nave dei folli viene descritto da Sebastian Brant nel 1494, in un testo intitolato La nave dei folli [Das Narrenschiff]. L’opera satirica, in forma di mito, racconta di una folla di personaggi, stretti su una piccola imbarcazione, intenti a sprecare la propria vita nei vizi. I 112 paragrafi sono correlati di illustrazioni di Albrecht Dürer che mettono in risalto i difetti e le meschinità dei personaggi. Al centro del poema è il tema dell’inadempienza morale e della colpa insita nella vulnerabilità vissuta.