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Siamo immersi in una Babele informativa dove ogni notizia è una verità provvisoria e ogni certezza dura lo spazio di un clic. Come può il cittadino globale distinguere il vero dal verosimile, il dubbio sano dalla manipolazione? Forse la risposta non è trovare nuove certezze, ma imparare a vivere nell’incertezza, coltivando il pensiero critico e la consapevolezza della propria fragilità cognitiva. Questo articolo propone un viaggio tra riflessioni e sguardi diversi, da Dominici a Mazzucchelli, da Varanini a Mezirow, per provare a rispondere.

Introduzione: l’epoca dell’incertezza strutturale

Viviamo settimane che sembrano uscite dalla penna di uno storico cinico o di un romanziere distopico. Le dichiarazioni avventate del presidente americano e dei suoi accoliti ridisegnano i confini della diplomazia mondiale come fossero tessere di un puzzle capriccioso, mentre la guerra in Ucraina si è fatta paesaggio sonoro di fondo, un ronzio costante di distruzione che non scandalizza più nessuno. Intorno, proliferano conflitti dimenticati, crisi ecologiche normalizzate, diseguaglianze così stratificate da diventare invisibili.

In questa cornice, la verità non è solo manipolata: è satura, ipertrofica, disponibile in infinite varianti contraddittorie, in balia di algoritmi che calibrano la visibilità delle informazioni in base al nostro profilo di consumatori di attenzione. In questo scenario, la domanda non è più semplicemente a chi credere?, ma come credere? Esiste ancora una postura epistemologica praticabile, tra le rovine delle certezze novecentesche e la cacofonia digitale?

La biblioteca di Babele 4.0

Immaginiamoci una biblioteca di Babele, ma non quella di Borges, austera e geometrica. Qui non ci sono bibliotecari ciechi che copiano a memoria volumi infiniti. Questa biblioteca è liquida, ubiqua, onnipresente. È la somma di ogni feed personalizzato, ogni chat segreta, ogni post virale. Le notizie non sono più archiviate, ma continuamente modificate, aggiornate, smentite, rilanciate. Ogni libro è anche il suo contrario, ogni scaffale è al tempo stesso una vetrina e una trappola cognitiva.

In questa biblioteca post-moderna si aggira il cittadino globale, come un Guglielmo da Baskerville post-umano, costretto a decifrare una verità che non è mai data, ma sempre negoziata, mercanteggiata, spettacolarizzata.

Cittadinanza senza cittadini

Piero Dominici ci avverte: la cittadinanza globale non è una somma di connessioni, ma una costruzione fragile, fondata su reciprocità, responsabilità e senso critico. Eppure, nell’era dell’iper-connessione, il cittadino è sempre più un soggetto passivo, iper-informato e al tempo stesso incapace di distinguere il vero dal falso. È il paradosso della sovraesposizione: più informazioni riceviamo, meno sappiamo cosa farne.

La cittadinanza diventa simulazione: partecipiamo cliccando, ci indigniamo condividendo, discutiamo nei commenti, senza mai impegnarci nella fatica del discernimento. Il cittadino globale è un algoritmo che reagisce a stimoli preordinati.

Metacognizione e il paradosso della sicurezza

Lo studio di Guigon, Villeval e Dreher illumina un altro strato di questa crisi epistemologica: la nostra fiducia nei nostri stessi giudizi è spesso scollegata dalla loro correttezza. Di fronte a notizie ambigue o polarizzanti, il nostro cervello reagisce con una sete di conferme che ci spinge a cercare ulteriori informazioni — non per avvicinarci alla verità, ma per trovare appigli emotivi che ci rassicurino.

È la paradossale dinamica dell’incertezza contemporanea: chi è meno sicuro delle proprie opinioni non diventa più cauto, ma più vorace di contenuti, alimentando un ciclo compulsivo di consumo informativo che ci rende sempre meno lucidi.

La bolla cognitiva e la democrazia riflessa

La democrazia globale, in questa prospettiva, è una costruzione fragile, fatta di bolle di conferma e di narrazioni antagoniste, in cui non si cerca la verità, ma il conforto di riconoscersi in un’identità preconfezionata. Il cittadino non cerca il vero, ma il simile; non verifica, ma si riflette.

Il labirinto informativo non è quindi solo un problema tecnologico, ma esistenziale: la democrazia senza verità condivise diventa uno spettacolo autoreferenziale, un eterno talk show dove la partecipazione è ridotta a tifo.

Mazzucchelli e Varanini: navigare con consapevolezza

In questo scenario si inseriscono le riflessioni di Carlo Mazzucchelli e Francesco Varanini, moderni timonieri della Stultifera Navis, la Nave dei Folli digitali. Mazzucchelli denuncia la religione della connessione, mostrando come ogni tecnologia sia portatrice di una visione del mondo implicita, che modella silenziosamente il nostro modo di pensare.

Varanini, dal canto suo, invita a riscoprire la lentezza e la fatica del pensare. Il cittadino digitale, dice, è prima di tutto un essere fragile, esposto a un bombardamento informativo che lo paralizza. Educare alla cittadinanza significa restituirgli il diritto di dubitare, di fermarsi, di rifiutare la velocità imposta.

Mezirow e la crisi come apprendimento

In questo quadro, la teoria dell’apprendimento trasformativo di Jack Mezirow diventa una bussola preziosa. Mezirow ci insegna che il vero apprendimento non è accumulo di informazioni, ma trasformazione dei propri schemi mentali, spesso attraverso crisi dolorose. Il cittadino globale non può formarsi senza imparare ad attraversare le crisi cognitive, a tollerare l’incertezza e a fare del dubbio uno strumento di crescita.

Conclusione: un umanesimo della fragilità

Educare alla cittadinanza globale significa quindi educare alla fragilità consapevole. Il cittadino del futuro non sarà colui che sa tutto, ma colui che sa di non sapere, che accetta di vivere nel dubbio e nella complessità. È un umanesimo che non cerca di dominare l’incertezza, ma di abitarla. È il ritorno, in chiave contemporanea, di una lezione antica: sapere di non sapere è la prima forma di libertà.


Bibliografia ragionata e commentata

1. Dominici, P. (2022). The weak link of democracy and the challenges of educating toward global citizenship. Prospects, 53, 265-285.

Dominici non offre un semplice quadro sociologico, ma una mappa della mutazione in atto: dalla cittadinanza sostanziale, fatta di responsabilità e reciprocità, siamo passati a una cittadinanza simulata, performativa, dove l’essere cittadini si riduce alla reattività digitale. È un testo chiave per chi voglia capire come il concetto stesso di spazio pubblico e di partecipazione sia stato svuotato e risignificato nell’epoca della connessione. Dominici richiama alla necessità di una paideia della complessità, capace di restituire al cittadino la consapevolezza della propria vulnerabilità e la capacità di abitare il dubbio.

2. Guigon, V., Villeval, M.C., & Dreher, J.C. (2024). Metacognition biases information seeking in assessing ambiguous news. Communications Psychology, 2:122.

Con una raffinatezza metodologica rara, il lavoro di Guigon e colleghi mostra come la nostra capacità di valutare le informazioni sia irrimediabilmente viziata da una percezione distorta delle nostre stesse competenze cognitive. Più siamo incerti, più cerchiamo conferme; ma questa ricerca compulsiva non è guidata dalla sete di verità, bensì dalla paura dell’incertezza stessa. Una lettura fondamentale per chi voglia capire il legame perverso tra sovraccarico informativo e costruzione delle opinioni nel cittadino digitale.

3. Mazzucchelli, C. (2020). Stultifera Navis - Diario di bordo di un navigante digitale. Delos Digital.

Il viaggio di Mazzucchelli attraverso le tempeste della cultura digitale è al tempo stesso un atto di denuncia e un esercizio di resistenza intellettuale. Il vero navigante non è chi accumula connessioni, ma chi impara a disconnettersi per recuperare la propria capacità critica. Mazzucchelli smonta con lucidità la mitologia della trasformazione digitale come progresso inevitabile, restituendo dignità al dubbio e al pensiero critico.

4. Varanini, F. (2019). Macchine per pensare. Un approccio umanistico all’intelligenza artificiale. Guerini e Associati.

Varanini affronta il tema della tecnologia non come destino, ma come possibilità da negoziare e trasformare. L’intelligenza artificiale diventa qui pretesto per una riflessione antropologica profonda: come preservare la specificità umana — fatta di errori, esitazioni, lentezza e riflessione — di fronte a un ecosistema tecnologico che premia la velocità e la semplificazione? È un testo imprescindibile per chi voglia pensare la cittadinanza digitale come esercizio di libertà e non come adattamento passivo.

5. Mezirow, J. (1991). Transformative Dimensions of Adult Learning. Jossey-Bass.

Mezirow è il teorico della trasformazione come fondamento dell’apprendimento autentico. Il suo approccio è quanto mai attuale: non impariamo accumulando nozioni, ma attraversando crisi cognitive che ci costringono a ridefinire i nostri schemi mentali. È proprio questo attraversamento critico che manca al cittadino digitale, troppo spesso impegnato a cercare conferme piuttosto che a mettersi in discussione.

6. Eco, U. (1980). Il nome della rosa. Bompiani.

Oltre la trama da romanzo storico, Il nome della rosa è un trattato sull’ambiguità del sapere e sulla fragilità della verità. Il labirinto della biblioteca medievale è la metafora perfetta della condizione informativa contemporanea: ogni verità è circondata da specchi deformanti e ogni lettore è costretto a muoversi tra inganni e rivelazioni parziali. È il testo che sottende tutta la riflessione sull’incertezza epistemologica di questa analisi.

7. Morin, E. (2001). La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero. Raffaello Cortina Editore.

Morin è la voce profetica che ci ricorda che non esiste vera conoscenza senza consapevolezza della complessità. Educare alla cittadinanza globale senza educare al pensiero complesso è un esercizio sterile. Morin ci invita a connettere saperi, a non accontentarci di risposte semplici a problemi complessi. Una bussola per ogni riflessione sulla formazione del cittadino critico.

8. Popper, K. (1972). Congetture e confutazioni. Il Mulino.

La pratica della falsificazione come esercizio quotidiano: Popper ci insegna che la conoscenza procede per errori e correzioni, non per accumulo lineare. Applicare questo principio alla cittadinanza digitale significa insegnare a dubitare di ogni notizia, di ogni fonte, ma anche — e soprattutto — di se stessi.

9. Bateson, G. (1972). Verso un’ecologia della mente. Adelphi.

Bateson ci regala una visione sistemica della conoscenza: ogni atto cognitivo è un atto ecologico, che coinvolge il soggetto, il contesto e la relazione tra i due. In un ecosistema informativo sempre più fragile e manipolabile, questa lezione è più attuale che mai. Comprendere l’informazione come processo relazionale è il primo passo per una cittadinanza consapevole.

10. Dewey, J. (1916). Democrazia ed educazione. La Nuova Italia.

Dewey è la radice di ogni riflessione sulla democrazia come pratica educativa. Non c’è democrazia senza educazione al confronto, al dissenso e alla cooperazione. Un classico da rileggere per capire come la crisi attuale della cittadinanza sia innanzitutto una crisi pedagogica.

StultiferaBiblio

Pubblicato il 06 marzo 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / “omnia mea mecum porto”: il vero valore risiede nell’esperienza e nella conoscenza che portiamo con noi