Il “cogito ergo sum”, infatti, fonda l’esistenza umana sul pensiero e inaugura una visione dualistica (mente/corpo) che è arrivata fino al nostro tempo ed è forse giunta al suo acme. Un Io pensante che si libera dal dubbio e fonda la sua sovranità sulla capacità di oggettivizzare il corpo e di controllare, tramite la potenza della volontà, tutto ciò che è legato alla corporeità. Non solo. Il soggetto pensante cartesiano riduce il mondo, creato da un Dio trascendente, a oggetto del pensiero e avvia un processo di razionalizzazione della realtà che condurrà alla separazione uomo/mondo e alla riduzione del mondo stesso a “entità oggettuale” (Heidegger). In questa visione, la differenza tra l’essere umano, che è dotato di pensiero, e il resto della natura, che è solo estensione, è radicale. Ma, nella visione cartesiana, accanto alla grande fiducia nella razionalità umana che rende l’Io “simile a Dio”, c’è anche una piena consapevolezza della propria “capacità di riconoscere e scegliere il bene. L’Io cartesiano è un io ‘generoso’, capace di grandi cose e allo stesso tempo conscio dei propri limiti, perfettamente consapevole del potere della propria volontà e tuttavia mai indotto ad abusarne.” [1] Manca agli epigoni, agli adepti della tecnologia, dopo la morte di Dio e la crisi della morale (Nietzsche), proprio questa capacità che è quanto mai necessaria in presenza di uno sviluppo tecnologico che dovrebbe essere governato nell’interesse del pianeta e degli umani.
Nel Seicento, il secolo di Cartesio, nasce un altro grande filosofo, Spinoza, che, pur riconoscendo la grandezza del pensiero cartesiano, sviluppa una visione di Dio, dell’uomo e del mondo profondamente diversa e, per i tempi in cui vive, molto rischiosa. Condannato in vita per le sue convinzioni eretiche, odiato e amato come pochi altri filosofi, ma poco letto e quindi spesso frainteso per le difficoltà poste dalla forma geometrica che ha dato al suo pensiero, può ancora, a mio parere, darci delle indicazioni su come muoverci nel mondo in maniera attiva e responsabile e provare a raggiungere la vera soddisfazione dell’animo (semper vera animi acquiescenza).
Spinoza paragona la condizione umana alle onde del mare mosse da venti contrari:
… è chiaro che noi siamo agitati in molti modi da cause esterne, e che, come le onde del mare mosse da venti contrari, siamo sballottati qua e là ignari del nostro esito e del nostro destino. (Etica, III, LIX, scolio)
Per comprendere l’importanza di questo passo, occorre considerare che il punto di partenza di Cartesio è sé stesso, inteso come Io pensante. Il punto di partenza di Spinoza è il mondo, la natura.
“La maggior parte di coloro che hanno scritto sugli affetti e sulla maniera di vivere degli uomini sembra che trattino non di cose naturali che seguono le comuni leggi della natura, ma di cose che sono fuori della natura. Sembra anzi che concepiscano l’uomo nella natura come un impero in un impero...” (Etica, III, Prefazione)
Per Spinoza, l’uomo nella natura non è un impero in un impero, è invece una piccola parte della natura e non si sottrae alle sue leggi. La filosofia ci consente di superare il limitato punto di vista degli umani e ci permette di avere una prospettiva più alta, universale:
“la natura non è circoscritta dalle leggi dell’umana ragione, che ha di mira solo la vera utilità e la conservazione degli uomini, ma si estende alle infinite altre che riguardano l’eterno ordine di tutta la natura, di cui l’uomo è una piccola parte.” [2]
Deus sive Natura
Dio coincide con la Natura: Deus sive Natura. Dio è potenza infinita, causa sui e causa immanente di ogni ente. La trama della realtà è costituita da relazioni che hanno come fondamento Dio. Dio è libero nel senso che non è vincolato da nulla: è absolutus. Sbagliano coloro che pensano che Dio sia il creatore del mondo e che abbia come fine il bene; non sarebbe perfetto se avesse un fine fuori di sé.
Spinoza legge in modo laico la storia ebraica e critica la tradizione giudaico-cristiana di un Dio personale e trascendente, creatore di un mondo che è fuori di lui. Nella Bibbia, scritta da mani diverse e in vari secoli, trova molte incongruenze. Ritiene che la religione si basi essenzialmente sulla paura e sulla speranza, che considera passioni negative. Tolto l’apparato di superstizioni, salva solo gli insegnamenti morali che sono una forma importante di educazione del popolo.
Gli attributi della sostanza Dio sono infiniti. Noi umani ne conosciamo due: il pensiero e l’estensione, espressioni diverse della stessa sostanza. I pensieri e i corpi sono modi particolari attraverso cui gli attributi si manifestano.
Mente e corpo
L’uomo è parte della natura ed è un insieme di corpo e di mente. Nella natura umana la connessione tra pensiero e cose non è garantita dal cogito, come in Cartesio, ma dalla sostanza di cui è parte:
“mente e corpo sono una sola e medesima cosa, che è concepita ora sotto l’attributo del pensiero, ora sotto quello dell’estensione.” (Etica, III, proposizione III, scolio)
“ordo et connectio idearum idem est accordo et connectio rerum.” (Etica, II, proposizione VII)
Rispetto a una tradizione filosofica che ha esaltato l’anima/mente e ha per lo più ignorato o disprezzato il corpo, Spinoza pone al centro della propria indagine proprio il corpo. Il corpo è un modo finito della Sostanza Dio, così come lo è la mente. La mente è condizionata dal corpo, perché l’uomo è un ente finito continuamente determinato da eventi esterni. Ha la percezione di ciò che avviene all’esterno attraverso il suo corpo, che è sempre in relazione con il mondo. La funzione del corpo è essenziale; senza il corpo, la mente non saprebbe neppure di esistere. La relazionalità, che noi sentiamo, è costitutiva dei corpi. Potremmo dire che per Spinoza tutto è in relazione: il corpo stesso è costituito da moltissimi corpi ed è in contatto con altri corpi, così come l’idea che costituisce l’essere della mente umana è formata da moltissime idee.
“Nessuno ha sinora determinato che cosa possa il corpo, cioè l’esperienza sinora non ha insegnato a nessuno che cosa, per le sole leggi della natura considerata solo in quanto corporea, il corpo possa o non possa fare, se non sia determinato dalla mente. Nessuno, infatti, conosce sinora la struttura del corpo così esattamente da poterne spiegare tutte le funzioni.” (Etica, III, proposizione II scolio)
La mente percepisce moltissime cose se il corpo è disposto al meglio, cioè a farsi toccare dal mondo. Occorre quindi migliorare le prestazioni del corpo per migliorare quelle della mente. L’individuo non è una sostanza né un soggetto, ma una relazione tra esteriore e interiore che si costituisce nella relazione stessa.
Gli affetti
Ogni corpo è costituito da un numero assai rilevanti di componenti che sono in relazione tra loro. Al variare di alcuni corrisponde il variare di altri secondo una ratio che rappresenta la costante delle loro possibili variazioni. Oggi la definiremmo omeostasi. L’essenza di ogni essere vivente è il conatus, l’istinto di sopravvivenza.
“Lo sforzo, col quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel proprio essere, non è altro che l’essenza attuale della cosa stessa” (Etica, III, proposizione VII)
Il conatus è un istinto che in Hobbes è uguale in tutti gli esseri viventi; in Spinoza varia in ogni essere umano con il variare dei “plurimi individui diversae naturae” che compongono i corpi.
Questo sforzo, quando è riferito soltanto alla Mente, si chiama volontà; ma, quando è riferito insieme alla Mente e al Corpo, si chiama Appetito; questo, quindi, non è altro se non la stessa essenza dell’uomo, dalla cui natura segue necessariamente ciò che serve alla sua conservazione (…) la Cupidità è l’appetito con coscienza di sé stesso. (Etica III, proposizione IX, scolio)
L’uomo è quindi un animale desiderante (concetto ripreso da Freud); la sua essenza è la cupiditas, una quantità di energia che può diminuire o aumentare:
“Intendo per Affetto le affezioni del Corpo, dalle quali la potenza d’agire del Corpo stesso è accresciuto o diminuita, assecondata o impedita, e insieme le idee di queste affezioni.” (Etica, III, Definizioni)
Risulta dunque da tutto ciò che verso nessuna cosa noi ci sforziamo, nessuna cosa vogliamo, appetiamo o desideriamo perché la giudichiamo buona; ma, al contrario, che noi giudichiamo buona qualche cosa perché ci sforziamo verso di essa, la vogliamo, l’appetiamo e la desideriamo. (Etica III, proposizione IX, scolio)
Giudichiamo buono ciò che desideriamo, non lo desideriamo perché è buono. È bene ciò che produce gioia; è male ciò che produce tristezza.
Da sottolineare l’originalità di Spinoza nello studio delle passioni. Le tratta come fenomeni metereologici, come aspetti della natura. Non ha un approccio moralistico, non si tratta di condannarle o esaltarle o pensare di eliminarle. La valutazione morale non ci libera perché riguarda solo la mente e, secondo Spinoza, lo sforzo della volontà è inutile. La polemica nei confronti di Cartesio che ha intrapreso la
“via secondo la quale la Mente può acquisire un dominio assoluto sugli Affetti” (Etica, III, prefazione)
è evidente. Si tratta, invece, di conoscere le passioni. Spinoza ne delinea la genealogia: nascono da cause naturali. Niente in natura avviene a caso.
Gli affetti, secondo Spinoza, rappresentano gli elementi costitutivi della condizione umana. Occorre assumere questo dato come un fatto naturale e ineliminabile: … è chiaro che noi siamo agitati in molti modi da cause esterne… come le onde del mare mosse da venti contrari…
Qual è allora il rimedio rispetto ai venti contrari?
Un affetto, che è una passione, cessa di essere una passione, appena ne formiamo un’idea chiara e distinta. (Etica IV, proposizione III)
Un affetto, dunque, è tanto più in nostro potere e la mente ne patisce tanto meno, quanto più lo conosciamo. (Etica, IV, proposizione III corollario III)
Il rimedio è la conoscenza.
La conoscenza accresce la nostra gioia e ciò produce un passaggio dal patire all’agire.
La mente è l’idea del corpo
La mente è la consapevolezza di ciò che accresce la potenza di agire del nostro corpo o la diminuisce: la letizia è il passaggio da una perfezione maggiore a una minore, la tristezza da una perfezione maggiore a una minore. Le passioni tristi diminuiscono la nostra potenza di essere.
“Le azioni della mente nascono solo da idee adeguate; le passioni invece nascono soltanto da idee inadeguate.” (Etica, III, prop. III)
Una conoscenza è adeguata (per es. la definizione di triangolo) se l’idea che abbiamo non può essere modificata da una ulteriore informazione. Quando conosciamo qualcosa di determinato in maniera adeguata, entriamo in una dimensione di assenza di tempo, e diventiamo parte dell’intelletto infinito di Dio (“chi ha idee adeguate è parte dell’intelletto infinito di Dio”).
Noi pensiamo di essere liberi perché non conosciamo tutte le cause che condizionano le nostre azioni, come una pietra che viene lanciata e pensa di muoversi nello spazio di sua volontà. È questo il primo stadio della conoscenza, l’immaginazione, conoscenza inadeguata in cui l’uomo non comprende le cause dei fenomeni ed è preda delle sue percezioni e delle sue passioni. In questo stadio sprechiamo una grande quantità di energia psichica e siamo chiusi in noi stessi, nella nostra individualità.
Il secondo livello della conoscenza è il passaggio a una dimensione razionale (geometrica), conoscenza più adeguata, e consiste nella capacità di comprendere le leggi che regolano i fenomeni, indagati attraverso il modello matematico applicato alla meccanica. Su questa si basa la scienza. Sul piano etico, la ratio, se mette in contrasto l’universale con gli impulsi sensibili e vuole asservire le passioni fallisce; se cerca di conoscerle attraverso la ricerca delle cause che le hanno generate, può governarle.
Il terzo gradino della conoscenza consiste nell’intuizione, intesa come conoscenza delle cose singolari, specifiche, ma a un livello adeguato. Attraverso la conoscenza delle cose particolari entriamo nella trama della natura e sentiamo una suprema gioia che nasce dall’idea di Dio come causa. (il sentimento cosmico di ammirazione estatica della natura di cui parla Einstein è affine a questa gioia). Con l’intuizione intellettuale Spinoza supera l’idea che solo la conoscenza razionale fondata sul modello matematico sia scienza. L’intelletto coglie la realtà dal punto di vista della sostanza. Intelligere significa penetrare e raccogliere: c’è l’intelletto ma c’è anche l’affettività; è il modo appassionato di conoscere le cose specifiche; è la verità effettuale della cosa di cui parlava Machiavelli (non a caso definito da Spinoza “vir acutissimus”) e non l’immaginazione di essa.
Non possiamo essere felici se ci chiudiamo nel nostro “io”; l’uomo è un frammento della natura e per vivere in letizia dobbiamo cogliere le connessioni con la natura e i legami tra gli esseri umani che sono sempre parte della natura. Come nella natura fisica, ogni effetto scaturisce da una causa, anche per quanto riguarda il pensiero, ogni pensiero è generato da un altro pensiero. Non abbiamo la libertà di creare i nostri pensieri, possiamo però prenderne coscienza. L’uomo, essendo un frammento di Dio, partecipa della libertà divina. Il problema è che non ne ha consapevolezza. Non è necessario conoscere tutto, come Dio. Se, su quello che conosciamo, abbiamo idee adeguate, superiamo il livello della sensibilità che ci porta a esaltare l’io e entriamo in una dimensione eterna. La consapevolezza di essere un frammento del divino porta alla felicità: amor dei intellectualis.
In conclusione, l’ignoranza è la radice della schiavitù umana.
La conoscenza del bene e del male è l’effetto della gioia e della tristezza in quanto ne siamo consapevoli. Affetto adeguato è azione; affetto inadeguato passione. Adeguato quando la ragione sa esperire le cause degli affetti. Nell’analisi delle cause, non dobbiamo limitarci a privilegiare il bene presente, che alla lunga può provocarci tristezza. Ad esempio, se reagiamo a un torto con l’aggressività, che sembra una reazione attiva, ci esponiamo all’inimicizia che ci renderà nel tempo infelici. La massima utilità per gli umani è la dimensione cooperativa.
Ci sono passioni che ci costringono ad essere dipendenti da forze esterne e ci sono passioni che sono capaci di trasformarsi in forze attive favorendo la ragione. Anche le passioni che, come la gioia o l’amore, diventano affetti attivi non perdono mai completamente la passività, ma, acquistando un senso, ci liberano.
“L’amore non è altro che Letizia accompagnata dall’idea di una causa esterna, e L’Odio non è altro che Tristezza accompagnata dall’idea di una causa esterna.”(Etica, III, proposizione 13, scolio)
Solo nell’amore intellettuale di Dio (congiunzione di amore e intelletto), cioè di tutte le singole esistenze nella natura, l’amore perde la passività. Non importa essere riamati, è riconoscere piena dignità a tutti gli esseri.
Tutto è necessitato, noi non possiamo sfuggire alle leggi della natura. Ma ciò non implica che l’uomo non abbia margini di libertà; la nostra libertà risiede nella coscienza della necessità: più comprendiamo ciò che ci condiziona, più siamo liberi. Riprendendo l’esempio di Spinoza (come le onde del mare mosse da venti contrari, siamo sballottati qua e là…) se siamo in una barca a vela e conosciamo i venti, li possiamo orientare. Non è attraverso la rinuncia e la privazione che possiamo modificare le cose. Inoltre la ragione non ha l’energia di comprimere le passioni. Fa prediche inutili. Le virtù che molti predicano sono tristi: umiltà e tristitia. Dobbiamo invece rivendicare il diritto al perseguimento della nostra utilitas che non è egoismo, ma è il rifiuto dell’etica del sacrificio. Il vero egoismo è l’altruismo, è il rapporto con gli altri: homo homini deus. ‘Navigare’ con gli altri ci rende più forti. È un vero e proprio ribaltamento della posizione di Hobbes: homo homini lupus.
“Io riduco alla Fortezza tutte le azioni che seguono dagli affetti che si riferiscono alla Mente in quanto conosce, e distinguo la Fortezza in Fermezza e Generosità. Per Fermezza intendo la Cupidità con cui ciascuno si sforza di conservare il proprio essere per il solo dettame della ragione. Per Generosità intendo, invece, la Cupidità con cui ciascuno si sforza, per il solo dettame della ragione, di aiutare gli altri uomini e di unirli a sé in amicizia.” Etica III, proposizione LIX, scolio)
La particolarità dell’uomo nella natura è la possibilità di perfezionarsi attraverso la conoscenza della forza del proprio conatus (cupidità), ossia la possibilità di trasformare l’imposizione delle passioni in azioni. Ognuno deve misurarsi con la forza del proprio conatus e deve metterla alla prova nelle diverse situazioni dell’esistenza. Se incrementiamo la nostra conoscenza, modifichiamo anche i nostri desideri e abbiamo più potere nei confronti dei desideri indotti dal mondo esterno. L’esistenza quindi come pratica di perfezionamento. Ritroveremo questa visione in Nietzsche: “Come si diventa ciò che si è” (sottotitolo di Ecce Homo), e anche in Deleuze: “noi non siamo razionali, diventiamo razionali”.
La libertà non è il libero arbitrio, ma la piena padronanza di sé, è ‘non essere agiti’ dagli eventi, ma agire. Si ottiene con la consapevolezza della realtà in cui si è immersi e con l’assenza del dispotismo.
Spinoza è realista e sa bene che la strada da lui indicata è molto difficile da percorrere perché la maggior parte degli umani non segue la ragione ma le proprie passioni
“onde accade che, poiché tutti desiderano in egual modo il primato, entrano in conflitto e fanno del loro meglio per sopraffarsi”. [3]
Ma è anche interesse di tutti uscire da questa condizione che li porta a vivere in preda all’ansia per gli odi reciproci, gli inganni, le inimicizie: la socialità è un bisogno essenziale degli umani. Per raggiungere una maggiore sicurezza, è necessaria una buona politica. Sarà compito dello Stato tenere a bada, mediante le leggi e il timore delle punizioni, le passioni egoistiche degli esseri umani e garantire non solo la sicurezza, il motivo per cui è nato, ma anche la pace, la libertà di espressione e la libertà di coscienza. Tra le forme di governo, Spinoza predilige la democrazia perché si fonda sul controllo reciproco dei cittadini e favorisce il raggiungimento del vero fine dello Stato che è la libertà. In particolare, porre un limite alla libertà di espressione non solo rende odioso il governo, sviluppa anche l’adulazione e fa diminuire lo spirito critico e il confronto delle idee indispensabili per il progresso della società civile.
Rispetto a una tradizione filosofica che ha considerato la vita come una preparazione alla morte, Spinoza afferma con fermezza che la filosofia è meditazione della vita, non della morte:
“L’uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte: e la sua sapienza è una meditazione non della morte, ma della vita.” (Etica, IV, prop. LXVII)
Bibliografia
I brani relativi all’Etica sono tratti da: Spinoza, Etica, Bompiani, Firenze 2007
Note
[1]AA. VV. Storia delle passioni a cura di S. Vegetti Finzi, Laterza, Bari 1995, pag.139
[2] Trattato teologico-politico, Einaudi, Torino 1980, cap. 16, p. 379
[3] Spinoza, Trattato politico, Laterza, Roma-Bari 1991., cap.1, p. 6