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Ogni ambito disciplinare ha i propri sistemi teoretici, i propri metodi di indagine, le proprie tecniche di ricerca i propri strumenti (concettuali e tecnici). Così come ogni ambito disciplinare non è chiuso in sé stesso ma si offre al contributo delle discipline (più o meno “vicine”) così come anche sperimenta l’uso di idee, concetti, metodi e tecniche tipiche di discipline terze.


“- Mai sentito parlare di Sir Walter Raleigh? [1] (…)  Raleigh fu la persona che introdusse il tabacco in Inghilterra. E siccome era uno dei favoriti della Regina (…) fumare divenne popolare, perché di moda a corte (…) Una volta scommise con lei che avrebbe misurato il peso del fumo.

Cioè pesare il fumo?

Esatto, pesare il fumo.

Ma non si può fare, è come pesare l’aria.

Si, può sembrare strano, è come pesare l’anima di qualcuno. Ma Sir Walter era un tipo furbo: prese un sigaro ancora intatto e lo mise su una bilancia e lo pesò. Poi lo accese e fumò il sigaro, bene attento che la cenere cadesse nel piatto della bilancia. Quando ebbe finito, mise il mozzicone nel piatto insieme alla cenere e pesò quanto era rimasto. Poi sottrasse il nuovo peso dal peso originale del sigaro intatto: la differenza era il peso del fumo.”[2]


Così il personaggio di Paul Benjamin - magistralmente interpretato in Smoke[3] da un William Hurt in stato di grazia - raccontava questo aneddoto sulla stima del peso del fumo. La forza dell’aneddoto non sta certo nel più ortodosso rispetto dei principi della fisica, della chimica e nemmeno della metrologia (trattasi palesemente di un divertissement) quanto nella sua verosimiglianza: surreale, impalpabile, finissima quanto il fumo che si pretenderebbe di poter pesare. La recitazione - magistrale - degli attori aggiunge poi alla scena un senso di divertita meraviglia. Una meraviglia che resta sospesa, indefinita, non risolta, vaporosa e allo stesso tempo densa e persistente. Proprio come la nuvola del fumo di un sigaro.

cosa vuol dire, ammesso che si possa fare, pesare una competenza? 

Una meraviglia non troppo diversa si prova nel momento in cui ci troviamo ad aver a che fare con la complessità, la profondità - talvolta contraddittorietà – di tutte le possibili interpretazioni del concetto di pesare le competenze. Prima di tutto cosa vuol dire, ammesso che si possa fare, pesare una competenza? Quali sono i metodi per farlo? Come si sceglie la competenza che pesa di più rispetto a un determinato contesto? E poi quale peso (appunto) eventualmente assegnare a metodi di misurazione quantitativi e quale a quelli qualitativi?

Chi ritiene, semplicisticamente, di poter valutare la competenza e l’esperienza di un candidato attraverso la presenza di un semplice tag sul curriculum (vale per #AI come per qualsiasi altro ambito disciplinare) incappa nello stesso errore concettuale di Sir Walter Raleigh che pretendere di misurare il peso del fumo procedendo per differenza tra il peso del sigaro intatto e quello della sua cenere. Anche perché come giustamente scrive Calogero Bonasia “…non è l’AI[4] che definisce la competenza, ma la capacità di dare forma al sapere”.

Dare forma al sapere.

È proprio qui che va indagata la questione. In questo senso prima di parlare di competenze è indispensabile fare un passo indietro (magari verso l’alto?) e cominciare a ragionare sulle discipline. Le discipline sono “partizioni artefatte del sapere opportunamente strutturate e organizzate in modo da facilitare la trasmissione, l’insegnamento e di conseguenza l’apprendimento di un determinato sistema di conoscenze o abilità[5]. Dunque è all’interno delle discipline - e non delle competenze - che si esplicita la capacità di dare forma al sapere.

Tornando alla AI: cosa ci aspettiamo quando riteniamo qualificante in un candidato l’esposizione di non meglio identificate “competenze in Intelligenza Artificiale”? Quando ciò accade, nella stragrande maggioranza dei casi stiamo pensando all’“Intelligenza Artificiale” come a una tecnica, una tecnologia[6] e di conseguenza come un prodotto[7].

Se considerata in questo modo la dichiarata “competenza in AI” non può fare altro che finire per essere omologata a una mera spunta sul curriculum del tipo: “il candidato deve possedere la patente di guida D”. Se ce l’hai, la riporti sul curriculum; se non ce l’hai, non la riporti. Se ce l’hai - ma non la riporti - avrai avuto un motivo più o meno valido. Se non ce l’hai - ma la riporti lo stesso - più che un motivo presto o tardi avrai un problema (tu e forse anche il tuo datore di lavoro). Se ragioniamo in questo modo non stiamo più parlando di competenze ma di requisiti, che è cosa completamente diversa.

l’Intelligenza Artificiale oltre a essere tecnica, tecnologia, prodotto e (di solito) software è anche - soprattutto - una disciplina.

Però l’Intelligenza Artificiale oltre a essere tecnica, tecnologia, prodotto e (di solito) software è anche - soprattutto - una disciplina. Una disciplina che conta innumerevoli definizioni[8], alcune anche assai distanti fra loro: definizioni filosofiche[9], politico[10]-amministrative[11], giuridiche[12], linguistiche[13], di standardizzazione[14], generaliste[15]. Un numero di definizioni che – manco a farlo apposta - è secondo soltanto a quello delle definizioni di intelligenza umana e che è esso stesso sufficiente a rappresentare, come sostiene Martina Todaro, “…l’inconciliabilità delle posizioni nel dibattito sull’IA[16].

Quindi la vera domanda ancora una volta è: cosa vogliamo dire quando parliamo (o crediamo di parlare) di IA? E poi ancora: cosa intendiamo quando chiediamo di inserire (o ci aspettiamo che vengano inserite) nei curricula le “competenze in materia di IA”? Parliamo un AI Architect? Di un Model/ML (Ops) Engineer? Di un Prompt Engineer? Di un Software Engineer? Di un Model Validator? Di un Data Engineer? Di un Data Scientis oppure di un AI Ethicist?[17]

Vogliamo davvero correre il rischio di pensare che sia possibile ridurre una così ampia gamma di competenze disciplinari a una mera “abilitazione”, come può essere ad esempio il “patentino da mulettista”?[18] O magari - molto più banalmente - è il fatto di leggere in un curriculum “uso avanzato di ChatGPT e altri LLM” che proietta emotivamente l’azienda/datore di lavoro in una dimensione romantica di competenze immediatamente sfruttabili all’interno della organizzazione a fronte di un costo tutto sommato relativamente basso? E sì perché un professionista con grandi e verificabili competenze, esperienza consolidata – quale che sia il suo ambito disciplinare –ha un valore sul mercato del lavoro che è sicuramente diverso da miocuggino chi dichiara al suo futuro datore di lavoro di saper smanettare con ChatGPT.

Nella sfortunata (e deleteria) concezione mainstream della mia disciplina, l’Intelligence delle Fonti Aperte (OSINT), si è sempre visto l’esperto OSINT come qualcuno che - grazie a non meglio identificate capacità personali - fosse in grado di praticare la oscura arte della tuttologia, arrogandosi il diritto di potersi esprimere su ogni campo dello scibile umano per il semplice fatto di… saper effettuare “ricerche” (più o meno approfondite) da fonti aperte.

Non funziona così: sono le competenze OSINT che vanno eventualmente “montate” sulle competenze disciplinari specialistiche degli esperti di dominio (medici, strateghi, fisici, meteorologi, biologi, ingegneri, filosofi, ecc.) e non il contrario. O l’esperto OSINT dovrebbe ogni volta frequentare regolari corsi di studi universitari in medicina, scienze politiche, fisica quantistica, ecc. e così via per diventare realmente (e in modo verificabile) esperto di quel determinato campo disciplinare.

Stessa cosa vale nel campo dell’IA dove – a meno che non siamo proprio noi a sviluppare sistemi di intelligenza artificiale – sono le competenze nell’uso dei prodotti e dei servizi dell’IA che vanno eventualmente “montate” sopra le competenze specialistiche. Ma i pesi dei due sistemi di competenze – l’uso del prodotto e la competenza specialistica in un determinato campo disciplinare – restano di ordine completamente diverso.

Ma la stessa cosa vale in ogni campo disciplinare, dove non esiste – non può e non deve esistere – una disciplina dominante. Ogni ambito disciplinare ha i propri sistemi teoretici, i propri metodi di indagine, le proprie tecniche di ricerca i propri strumenti (concettuali e tecnici). Così come ogni ambito disciplinare non è chiuso in sé stesso ma si offre al contributo delle discipline (più o meno “vicine”) così come anche sperimenta l’uso di idee, concetti, metodi e tecniche tipiche di discipline terze.

se con le discipline costruiamo la forma del sapere, allora è giusto e conveniente che il sapere venga descritto da più punti di vista e non in una unica forma

Non può e non deve esserci “contaminazione” - o peggio il fagocitamento - tra le discipline. Anche se di peso diverso non si può o non si deve dire che la fisica sia superiore all’ingegneria, che la chimica sia superiore alla biologia, che la filosofia sia superiore alla linguistica, e così via. Non si può dirlo in primo luogo perché a decidere il peso è soprattutto il contesto[19]. Ma non si può dirlo soprattutto perché se con le discipline costruiamo la forma del sapere, allora è giusto e conveniente che il sapere venga descritto da più punti di vista (più Livelli di Astrazione, per dirla con Floridi) e non in una unica forma - più o meno autoimposta – decisa sulla base di una banale ragionamento di ordine gerarchico.

Lo spirito della interdisciplinarità affonda le sue radici in una architettura concettuale a forma di rete, dove le discipline non hanno in comune soltanto gli oggetti di studio (la realtà, per farla breve) ma soprattutto concetti, idee, teorie, metodi, tecniche, strumenti, obiettivi; dove le discipline sviluppano relazioni e non subordinazioni. Tutto questo richiede capacità di integrazione, capacità di costruire interfacce - anche linguistiche[20] – tra le varie discipline, capacità di riuso e riadattamento di metodi e tecniche di ricerca. In Open Source Application Layer[21] ho proposto l’Intelligence delle Fonti Aperte (OSINT) come unica disciplina in grado di agevolare, coordinare, guidare questo complesso processo, proprio in virtù del fatto che le discipline sono fonti – aperte – del sapere. L’avvento degli strumenti, delle tecniche e delle tecnologie della disciplina della Intelligenza Artificiale costituisce sicuramente una occasione per perseguire lo scopo con ulteriore slancio e fiducia.

Quando tutto ciò viene attuato grazie alla specifica agentività di individui preparati, capaci, volenterosi, emergono le competenze. L’importante è non cedere alla tentazione di misurarle con una bilancia, così come Sir Walter Raleigh pretendeva di fare con il peso del fumo.


Note

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Walter_Raleigh

[2] A chi non la conoscesse già consiglio vivamente di guardare la scena a questo link https://youtu.be/GncSej_Vebk?feature=shared&t=53 oppure - meglio ancora – l’intera pellicola.

[3] Smoke, di Wayne Wang, Paul Auster, USA 1995, dialogo tratto dal doppiaggio della edizione italiana. -

[4] O qualsiasi altro ambito disciplinare, NdA

[5] https://www.linkedin.com/pulse/losint-gli-habitat-disciplinari-quelli-generalisti-e-altre-nacci-bfqbf/

[6] Nello specifico un software, o un servizio.

[7] Tra gli altri: ChatGPT, Perplexity AI ,Claude, Google Gemini , Microsoft Copilot, MidJourney, ElevenLabs AI, ClickUp Brain, DataRobot ;Amazon SageMaker, Keras, Alteryx Intelligence Suite, Siri, Alexa, Google Assistant, TensorFlow, Jasper AI (risposta fornita da Perplexity al promt “indicami i primi 15 software più conosciuti di intelligenza artificiale” - https://www.perplexity.ai/search/indicami-i-primi-15-software-p-27P5sIQJSlisawHdGAVVEg )

[8] Oltre a quelle offerte dalle discipline che sembrerebbero maggiormente titolate ad esprimersi: le neuroscienze

[9] Luciano Floridi, Etica dell’intelligenza artificiale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022

[10] https://assets.innovazione.gov.it/1721376223-01-strategia-italiana-per-l-intelligenza-artificiale-2024-2026.pdf

[11] https://digital-strategy.ec.europa.eu/it/node/2226

[12] https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/442084.pdf

[13] https://www.treccani.it/enciclopedia/intelligenza-artificiale/

[14] https://www.iso.org/standard/81230.html

[15] https://it.wikipedia.org/wiki/Intelligenza_artificiale

[16] Martina Todaro, Il Futuro dell'Intelligenza Artificiale Dipende da Quello che Pensiamo dell'Essere Umano, in corso di pubblicazione su FUTURI, Rivista Italiana di Future Studies

[17] Definizioni di professionalità/competenza prese da una ricerca a caso sul web, non ha importanza dove, vale a titolo di esempio. Si noti come alcune di queste competenze nemmeno presentino al loro interno il tag IA (o AI).

[18] Patentino carrelli elevatori

[19] Se il mio campo è la linguistica è chiaro che la chimica degli elementi tendenzialmente mi interesserà poco.

[20] Nacci, G., Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle Fonti Aperte, Epoké Editore, 2019

[21] Nacci, G., Open Source Intelligence Application Layer. Proposta per una Teoria Generale dell’Intelligence delle Fonti Aperte, Epoké Editore, 2017

Pubblicato il 22 aprile 2025

Giovanni Nacci

Giovanni Nacci / Autore - Ufficiale della Marina Militare in Congedo - Coordinatore presso Osservatorio per le Fonti Aperte - Intelligence Lab, Unical

giovanninacci@giovanninacci.net