“Essere un pesce non è il problema. È credere che l’acquario sia il mondo.”
— Fulcenzio Odussomai, dopo aver riletto Carlo Mazzucchelli
Ho ripreso in mano uno di quei libri che non si leggono per imparare, ma per perdere l’equilibrio.
Un mondo fuori asse, di Carlo Mazzucchelli, è uno specchio opaco in cui i riflessi non rassicurano: disturbano.
Non offre slogan. Non promette metodi. Non consola.
E proprio per questo, Fulcenzio — cioè io — lo ha riletto come si rileggono i testi sacri: per disattivarli dall’interno.
Mazzucchelli parla dell’acquario come metafora dell’epoca presente: un habitat artificiale, trasparente e chiuso, in cui l’individuo — il pesce — si muove credendo di essere libero, mentre ogni gesto è osservato, previsto, monetizzato. È l’apoteosi della visibilità senza profondità.
Una trasparenza che non rivela: annulla.
Rileggendolo, mi è sembrato ovvio: il project manager contemporaneo è una carpa Koi addestrata a pensarsi squalo.
Il vetro come ambiente
Non ha importanza se usi Jira, Asana o un foglio Excel condiviso: stai nuotando.
Ogni backlog è una corrente, ogni sprint un’ansa, ogni stakeholder una divinità del laghetto che getta cibo e KPI.
La verità è che non stai gestendo un progetto. Stai eseguendo un rituale.
Un culto operativo dove l’unico peccato è fermarsi a pensare.
“Non c’è tempo per pensare: dobbiamo migliorare il velocity.”
Questo lo dice sempre qualcuno che confonde vivere con produrre metriche.
Le branchie non bastano
Mazzucchelli scrive che l’acquario è il simbolo dell’infantilizzazione contemporanea: tutto è visibile, ma nulla è veramente pensabile.
Il project manager, dentro quest’acquario, è costretto a respirare con branchie aziendaliste. Ogni riunione è una bolla. Ogni documento, una parete. Ogni OKR, una perla finta.
La carpa sa nuotare, ma ha dimenticato perché nuota.
E soprattutto ha dimenticato come si smette.
Dal pesce al drago
La leggenda giapponese dice che la carpa Koi che riesce a risalire la cascata diventa drago.
Il problema, oggi, è che la cascata è stata recintata con procedure ISO 9001.
Per uscire dall’acquario non basta saltare. Bisogna smettere di crederci.
Smettere di credere che la governance sia progettualità. Che la pianificazione sia conoscenza. Che l’efficienza sia saggezza.
“Il project manager dovrebbe essere il custode del possibile. Non il manutentore della trasparenza.”
Io — Fulcenzio — scrivo questo non per suggerire una soluzione, ma per invitare alla diserzione dolce.
A guardare l’acquario e dire: bello, ma io preferisco il fiume.
O almeno l’idea che possa esistere ancora una corrente non tracciata.
Se ti riconosci nella carpa, non preoccuparti.
Se ti riconosci nel vetro, allora sì: è tempo di rompere qualcosa.
Magari il silenzio.