STULTIFERANAVIS intervista Stefano Davide Bettera come autore del saggio Secondo natura. Critica all’ideologia liberal progressista, pubblicato nel 2024. Una intervista “stultifera” condotta da Carlo Mazzucchelli, autore di Nostroverso – Pratiche umaniste per resistere al Metaverso e co-fondatore con Francesco Varanini dell’iniziativa STULTIFERANAVIS.
Stefano Davide Bettera è filosofo, scrittore, e giornalista professionista. Alterna il suo lavoro di autore con l’attività divulgativa. È Presidente dell’Unione Buddhista Europea. Ha pubblicato numerosi libri, tra gli altri: La pornografia dell’essere. La modernità oltre l’agonia del presente (Meltemi editore), Il volto dell’altro. Quando la gioia diventa una scelta di libertà (Meltemi editore), L’abbraccio del mondo. Coltivare la saggezza dello spirito per realizzare una mente ecologica (Edizioni Mondadori), e per ultimo Secondo natura. Critica all’ideologia liberal progressista (edizioni Solferino).
Buongiorno e benvenuto sulla nostra STULTIFERANAVIS. Per usare una “metafora” cinese viviamo tempi interessanti. Lo sono dalla caduta del muro di Berlino, che ha determinato la fine di molte aspettative utopiche che ancora resistevano e l’affermarsi del “realismo capitalistico” che ci ha portato alle crisi sistemiche e paradigmatiche attuali. Come ha scritto Slavoj Zizek ciò generò tre reazioni: nostalgia dei tempi passati, populismo nazionalista di destra, rinnovata paranoia anticomunista, come se il mondo fosse ancora pieno di comunisti. A prevalere oggi, più che le vecchie distinzioni, è in realtà un bipolarismo tra politica e post-politica. Nel frattempo, a dominare la scena sono la crisi ecologica, gli squilibri interni delle democrazie occidentali, l’aumento esponenziale della disuguaglianza e della povertà sociali, la percezione diffusa di vivere tempi “alla fine dei tempi”. Il mondo è fuori asse e non sembra che neppure i filosofi attuali, siano in grado di fornire ciò che servirebbe per affrontare un’epoca dalle passioni tristi, stanca, piena di ansie e insicurezze, vuota di senso, brutale nel linguaggio e priva di ogni etica. Tra i filosofi, pochi sono quelli che scelgono di assumersi il compito di essere profeti di un nuovo mondo e al tempo stesso ribelli che si oppongono, anche con le loro riflessioni, all’ordine esistente, alle metafisiche e alle narrazioni inadeguate, omologate e conformistiche (che io non associo al wokismo liberal-progressita) che lo caratterizzano. Lei come filosofo dove si collocherebbe? Si sente di giocare il ruolo del profeta e/o del ribelle? Quali sono le domande secondo lei più attuali e urgenti. Quali sono i suoi Maestri, anche a partire dal suo ultimo libro “Secondo natura”.
viviamo tempi interessanti, tempi strani
È vero, siamo alle soglie di un mondo nuovo. La rielezione di Trump alla Casa Bianca, più che essere l’evento scatenante, se così si può dire, è il manifestarsi di un processo che era già in atto da tempo e che negli ultimi anni si è profondamente acuito. Complice anche la complessità e, allo stesso tempo, l’opacità delle narrazioni che riguardano i fatti globali e il retrocedere dei grandi media che hanno abdicato, più o meno consapevolmente, al loro ruolo di “guida critica” dell’informazione.
Viviamo in quella che Byung-chul Han, il filosofo tedesco, ha chiamato con arguzia e con anche un po’ di millenarismo catastrofista, infocrazia. Ecco, per quanto mi riguarda fatico ad abbracciare fino in fondo una visione pessimistica sull’oggi e sul domani. Di certo viviamo tempi complessi che richiedono anche una critica feroce e lucida, soprattutto sulle dinamiche della manipolazione del pensiero. Detto ciò, resto convinto che la dimensione umana, spirituale, relazionale e comunitaria siano ancora decisive. Non è poi così facile, come molta retorica antio-ccidentale vorrebbe, liquidare secoli, se non millenni di costruzione di un’identità che in questo momento di certo è in una fase interrogativa, prevalentemente su di sé. Ma da qui a buttare via il bambino con l’acqua sporca ne passa.
Lo stesso dicasi per la ‘matrice giudaico cristiana” della nostra società. È vero che l’ondata secolarista, che giunge da lontano, perlomeno dall’Illuminismo in poi, sembra aver vinto la battaglia contro il trascendente. Ma è così vero? Credo, invece, che mai come oggi ci sia un ritorno del sentimento del sacro. Se vogliamo anche come reazione al nichilismo secolarista e come recupero di spazi non violentati di interiorità. Ma è un fatto. Non è così semplice alienare l’uomo da sé stesso e, per paradosso, ne vediamo conferma proprio nell’approccio sacrale, quasi cultuale che la modernità riserva a ambiti come l’ecologia o la tecnologia, diventati fenomeni quasi religiosi, con una portata escatologica che appartiene totalmente all’ambito del sacro.
Oggi si tende ad affidarsi, proprio per bisogno di punti fermi nella complessità, alla fede nei nuovi credi, nell’uomo nuovo, transumano o, in negativo, nell’imminente apocalisse dovuta al clima. In un caso o nell’altro, l’approccio è religioso e tanti saluti alla capacità del pensiero critico di esercitare e difendere spazi di libertà. Se c’è un elemento cui la filosofia ha abdicato è proprio la responsabilità di esercitare la critica, il dubbio, l’esplorazione. Non tanto come esercizio accademico, ambito nel quale l’autocompiacimento per il tecnicismo specifico sfiora il delirio. Quanto proprio come capacità di esercitare il diritto alla libertà, alla non conformità, al dissenso.
Il dissenso oggi è contrastato come la peste. Così come tutti i pensatori non allineati. Si vive di retorica funzionale alla comunicazione, alla velocità della presenza mediatica e alla dittatura del web. Ci si diletta in dibattiti infiniti sul ritorno del fascismo senza alcuna visione storica. Si affronta ogni questione politica, sociale, economica senza un pensiero, per rispondere a un moralismo universalistico e al compiacimento di questo stesso moralismo che non è mai scomodo, mai verticale. Ecco, si muore di orizzontalismo.
Questo è il male dell’Occidente attuale, se proprio vogliamo trovarne uno. E di schieramento. Per cui, se leggi autori “di destra” o conservatori come Alain De Benoist o Roger Scruton, due immensi cui va la mia gratitudine, in automatico vieni ascritto a uno schieramento. Così come se citi Michel Onfray, allora sei un anarco post-marxista senza Dio. E ancora mi è capitato di essere accusato di arroganza perché in una conferenza mi son permesso di affermare che il ‘fascismo eterno’ di Umberto Eco è una categoria di comodo e superata. Funziona così. Se tocchi i santini, di sinistra o di destra, subito diventi impopolare. Ma pazienza. Quindi, per rispondere alla domanda, non so se queste mie parole siano profetiche o ribelli. Di certo sono libere e, forse, lo spero, neanche tanto convenzionali. Così come le letture che faccio. Ma del resto, persino Albert Camus si era sentito dare del fascista perché non aveva abbracciato l’ortodossia leninista degli amici di Saint-Germain-des-Prés…”
un pamphlet contro il “wokismo” ritenuto un’ideologia totalitaria?
Il suo libro si presenta come un pamphlet contro il “wokismo” ritenuto un’ideologia totalitaria, che lei associa al liberal progressismo, definito come ideologia intransigente, culto religioso, e pensiero magico, i cui caratteri intolleranti sono la negazione e l’antagonismo verso un autentico spirito di libertà e di convivenza civile. La sua critica è rivolta a tutto un mondo che per lei è all’origine della decadenza attuale. Un mondo la cui cultura lei definisce come divisiva e intollerante, contraria ai precetti della vera filosofia liberale, pervaso da una ideologia neo-marxista (tolto il “neo”, salverebbe Marx?) che sui diritti civili ha costruito una visione puramente ideologica, focalizzata sulla sostituzione di tutto ciò che invece, secondo lei, andrebbe conservato. Il wokismo, con tutte le sue esagerazioni, ha radici profonde. Lei le trova nei padri della post-modernità (pensiero debole di Vattimo?) e nel decostruttivismo, ma anche in autori contemporanei come Judith Butler, Michela Murgia e altri menzionati nel libro. Il wokismo è entrato anche nelle aziende nella forma del politicamente corretto, con conseguenze pericolose (Carl Rhodes) con effetti anti-progressisti. Infine al wokismo è associabile la pratica della cancel culture che abbiamo visto all’opera nel mondo anglo-sassone con effetti catastrofici se non caricaturali e umoristici (Luca Ricolfi). Cosa è realmente il wokismo per lei e in che modo lo collega alle crisi del nostro mondo moderno, in crisi di modernità e in una fase di transizione a qualcosa d’altro?
Anche in questo caso vorrei evitare facili strumentalizzazioni o sbrigativi schieramenti e metto in chiaro subito un punto che ritengo fondamentale: la difesa dei diritti individuali, della libertà di espressione, di un’idea e di una pragmatica della giustizia e dell’equità sociale e politica sono indiscutibili. E anche da tutelare, sempre e comunque. Ma non è questo il punto.
Oggi, purtroppo assistiamo a uno spostamento dell’asse mondiale su posizioni reazionarie e aggressive. Nulla di tutto ciò ha a che fare ad esempio con il conservatorismo, nello specifico con quel tipo di conservatorismo filosofico che caratterizza il pensiero di uomini come Roger Scruton, Edmund Burke o l’azione di giganti come Wiston Churchill. L’ondata reazionaria di oggi è altro. E dobbiamo anche stare attenti a iscrivere troppo rapidamente il fenomeno Trump a questa tendenza. Di certo ne esprime molte caratteristiche, nel suo autoritarismo ad esempio. Ma in lui c’è anche tanto di quel carattere Jacksoniano, di quel sano patriottismo tutto americano non facilmente comprensibile per chi non conosce gli Stati Uniti.
Ma veniamo al woke. L’adesione acritica a tutte le istanze woke e, soprattutto la loro esasperazione portata all’intransigenza, al fanatismo, allo spirito persecutorio e al millenarismo moralistico ha fatto perdere il buon senso a molte istanze che hanno totalmente cittadinanza, come ho detto. Trasformandole in rivendicazioni, spesso molto confuse, e strumentalizzandole per racchiuderle in una piattaforma ideologica, che possiamo definire intersezionalità, che poco ha a che fare con il senso reale delle cose e molto con la teoria. Per cui, ciò che il mio pensiero costruisce e rivendica nella sua infinita possibilità immaginativa, automaticamente si fa azione, realtà e verità normativa. E conseguenze moralismo punitivo nei confronti di ogni deviazione o dissenso da questo spirito neo catecumenale. Come ho detto prima, in una fase di debolezza del sacro convenzionale, l’uomo non abdica affatto al sacro ma lo ricerca in nuove forme.
Il woke è diventato un culto non solo un modo di leggere il mondo. E come ogni culto esige tributo e deferenza. Poco importa se le sue espressioni o rivendicazioni sono sensate o meno. Intendiamoci, così sgombriamo il campo da ogni ulteriore dubbio. Personalmente non solo non ho mai nutrito dubbi che ogni persona abbia il diritto di scegliere per sé ciò che lo rende felice e, di conseguenza, avere il diritto di esprimerlo. Ma vale in ogni senso. Il processo alla cultura occidentale accusata di ogni nefandezza oppressiva e patriarcale, oltre che essere fondato su categorie del pensiero e su una conoscenza il più delle volte approssimativa se non in male fede, è davvero demenziale e intollerabile. Ma la tolleranza e il rispetto dell’altro non sono proprio due delle principali qualità dell’ideologia woke. Che è nella forma, nei contenuti, nella prassi un massimalismo ideologico. Post-marxista perché di Marx recupera lo schematismo critico delle contrapposizioni sociali, amplificate, in puro stile foucaultiano, in una lettura a senso unico dei processi sociali e umani come dinamica di potere e contropotere. Cui si aggiunge quel tocco di moralismo millenarista che arriva, ad esempio dall’ecologismo più disperato. Ma tutto ciò è molto utile, di certo, ad alimentare consenso e schieramenti.
Poco funzionale a una lettura onesta e approfondita del reale. E poi, mi chiedo, che bisogno c’è di dissacrare il sacro, per affermare un’identità specifica? Perché per difendere i diritti delle persone queer, occorre dire che pure Gesù era queer? Trovo che questa dislocazione della logica e delle categorie di interpretazione del reale ha certamente un suo sensazionalismo ma crea solo una gran confusione. Anche a detrimento di battaglie che hanno senso. Il problema è che il woke ha ucciso sé stesso e alimentato quello spirito reazionario che ha contribuito al successo di Trump o di persone simili a lui.
Schiacciare tutta un’area politica su queste rivendicazioni non solo è un errore strategico ma rischia di gettare un’ombra di velleitarismo e inconsistenza su qualunque progetto tenti di opporsi a questa ondata globale. Ma ci vorranno anni, se non decenni perché emerga dal basso, dalle persone, uno spirito, una proposta alternativa. Per il momento si langue nella contrapposizione da tifoseria. E chi ha maggior pragmatismo e capacità di parlare alla pancia delle persone vince. Facciamocene una ragione. E per concludere questo punto, tolto il neo, non sono mai stato un grande fan di Marx. Gli do merito di aver colto alcune dinamiche sociali e contraddizioni evidenti ma mi fermo lì, non è la storia da cui provengo”.
Serve un richiamo alla poesia del vivere, alla spiritualità, all’esperienza del vivere quotidiano, all’umanità, alla responsabilità individuale
Lei inizia il suo libro con un ricordo personale, le minacce da parte delle Brigate Rosse a suo padre, collegandolo al pensiero, che condivido, di un “essere umano” frutto della propria esperienza. Applicando questo “principio”, io potrei raccontare altre esperienze che ho vissuto (ho un’età che mi permette di dire “io c’ero”), durante gli anni tragici del terrorismo, che avrebbero un colore completamente diverso e che tanto hanno contato nell’evoluzione del mio essere e del mio pensiero. I ricordi non vanno cancellati, qualsiasi cosa essi siano, vanno portati appresso, sono alla base di ogni pensiero e storia personale. Se però ciò è vero dovrebbe anche valere per tutto ciò che, nella storia dell’Italia, è stato costantemente negato, ad esempio un risarcimento morale, etico, democratico, a tutte le vittime del terrorismo nero e di stato. Il suo ricordo molto politico sembra anticipare il pensiero espresso nel libro che si articola in “attacchi” molto forti a una certa parte politica e all’ideologia alla quale lei la associa. Questo però crea una difficoltà a cogliere ciò che, secondo me, nel suo pensiero è forte e condivisibile, anche da me. Ad esempio, il richiamo alla poesia del vivere, alla spiritualità, all’esperienza del vivere quotidiano, all’umanità, intesa anche come comunità, al richiamo alla responsabilità individuale, ecc. Tutto ciò, secondo me, non è oggi messo in crisi dal wokismo o dall’ideologia liberal progressista. Lo è da parte di tutto ciò che sta emergendo, anche come semplice reazione, e che si può declinare con parole come populismo, autoritarismo, sovranismo, tecnocrazia e tecno-neoliberismo. Lei cosa ne pensa?
Quando ho scritto Secondo Natura non avevo alcun interesse a scrivere un manifesto ‘contro’. Non è un attacco a una parte politica ma alla degenerazione di un modo di intendere la politica e, in generale, la società che porta alla violenza, all’intolleranza o a episodi di cui è stata protagonista la mia famiglia. Parlo di questa storia nello specifico perché è quella che ho vissuto in prima persona. Ma non è un problema di schieramento. Il terrorismo nero, per ovvi motivi, è stato altrettanto drammatico. E su questo punto vorrei uscire dall’infantilismo di parte della sinistra per cui se non fai dichiarazione di antifascismo ogni due per tre allora sei compiacente. È surreale oltre che noioso.
Peraltro, vengo da una famiglia di tradizione socialista ma anche questo termine in Italia è diventato sinonimo di ogni male possibile. Per l’ipocrisia, tutta italiana, di non guardare mai al merito delle cose e di non affrontare le responsabilità e riconoscere i meriti. Si gira pagina e fine. Fino al giorno prima tutti fascisti poi viva la democrazia. Per vent’anni e forse più siamo stati in una guerra civile, con terrorismo, che ha lasciato sul marciapiede decine di morti. Tutto dimenticato. E potremmo continuare con Berlusconi, il covid e ancora e ancora. Stesso atteggiamento. Non se ne parla più. Tutto va in cavalleria e si ricomincia come niente fosse. Ma non è così semplice. Perché le persone sono le loro storie, le loro esperienze, le loro memorie. Se a qualcuno questo dà fastidio, per le implicazioni che ha, pazienza. E, intendiamoci, la politica di sinistra e di destra con il terrorismo è stata ben più che compiacente. Credo sia un fatto di onestà intellettuale dirlo. E anche di libertà, che alla fine è per me ciò che conta più di ogni adesione a una specifica visione del mondo. Lo ripeto: in quest’ottica, wokismo “di sinistra” o autoritarismo “di destra”, sono complementari. Ed è questo il problema.
E'' ancora possibile usare queste categorie così come le usavamo fino a ieri senza un esame sincero di quanto complessa è la storia del nostro mondo e di quanti elementi personali, comunitari, sociali entrano nell’immaginario di ogni persona e ne creano l’identità o ne ispirano l’agire? Le persone non sono creazioni astratte o frutto di rivendicazioni identitarie. Le persone sono storie. Per lo più intricate e spesso incomprensibili. Di certo non riducibili a semplificazioni. Per questo considero le ideologie, ogni foma di ideologia, pericolose sempre. Perché riducono l’essere umano a una categoria e uccidono il sacro. Non per cattiveria, ma per necessità”.
Viviamo tempi strani, molto strani, anche interessanti
Più che interessanti, io credo che i tempi che stiamo vivendo siano tempi strani. Lo sono perché la rivoluzione della tecnologia (pensiero binario, essere umano computazionale e calcolabile, la potenza dell’algoritmo e ora delle IA, ecc.), associata a trent’anni di globalizzazione e di “pensiero unico” tecno-neoliberista, ha fatto danni enormi e profondi portando alle crisi attuali. In questi tempi strani, di cui tutti abbiamo una inconscia percezione, viviamo sull’orlo del caos, sempre in bilico e dentro zone critiche delle quali sappiamo poco o non vogliamo sapere nulla. Sempre più estraniati da noi stessi e dalla realtà ci raccontiamo bugie bastarde per sentirci in controllo ma in realtà viviamo l’angoscia, l’ansia e l’insicurezza di tempi senza risposte esistenziali ma anche senza soluzioni reali. Le soluzioni che ci vengono proposte, anche nella forma di risposte di bot di IA, sono banali, mai all’altezza di una realtà sempre più complessa, in entropia crescente ed equilibrio instabile, ma soprattutto in costante metamorfosi e rapido cambiamento. Una soluzione viene, come lei ha argomentato nel suo libro, nel tornare a vivere secondo natura, nel tornare alla natura delle cose, assumendosi la responsabilità di tutelare libertà di espressione, rispetto dell’etica e della giustizia, la sacralità delle relazioni e la comunità. Tutti richiami condivisibili ma come interpretarli nella situazione (geo)politica e culturale (ideologica) attuale? Il wokismo liberal-progressista secondo me è morto, superato da un wokismo emergente nuovo (reazionario, negazionista, opportunista, bugiardo, violento), forse ancora più pericoloso, con conseguenze nefaste per tutto il nostro mondo occidentale. Nefaste perché non in grado di dare risposte concrete a moltitudini di persone sofferenti che, come suggerisce nel suo libro, sarebbero da abbracciare (in modo critico), ma che invece sono costantemente manipolate, usate, rese complici e servili, private della loro dignità dentro narrazioni della realtà fatta di falsità, reiterate come verità, che hanno eliminato ogni senso e significato alle parole, al linguaggio e alla realtà. Lei cosa ne pensa?
Condivido totalmente questa sua ultima analisi. Siamo, come dicevo all’inizio, alle porte del mondo nuovo e vederne i tratti o tentare di darne una definizione precisa sarebbe appunto impresa profetica. E non ho una barba sufficiente lunga per competere con i mistici. Al di là dell’ironia, questo intendo quando dico che occorre tornare a vivere secondo natura: non è una difesa reazionaria dell’identità naturale, degli schematismi o di una società passata di cui si conserva un’idea romantica. Il cambiamento è la matrice della realtà.
Ma la domanda centrale, secondo me è questa: è davvero sempre così necessario cambiare quando al posto di ciò che abbiamo viene proposto qualcosa di peggio? O, ancora meglio, è sempre così necessario farlo in fretta? I tempi dettati dalla tecnologia sono sempre così salutari? Non si tratta di opporsi al cambiamento, all’innovazione, al futuro. Solo un’analisi infantile potrebbe pensarlo. Si tratta invece di prendersi il tempo e lo spazio per aver cura di ciò che di prezioso abbiamo dentro di noi.
La nostra storia, la memoria, i valori che riteniamo importanti, le relazioni, la nostra comunità che ancora esiste, e soprattutto la possibilità di farsi carico della fragilità e della preziosità, della poesia della vita. Siamo qui, su questo pianeta. E credo che abbiamo non solo il diritto ma anche il dovere di conservare quanto di buono e straordinario c’è per consegnarlo a chi verrà dopo di noi. Non è guardare indietro o banale spirito nostalgico. Ma amore per ciò che conta e che rischia un po’ troppo in fretta di essere spazzato via. Ecco perché non provo nessuna simpatia verso ogni forma di millenarismo o di rivendicazione punitiva che cerca di cancellare il passato in nome dell’uomo nuovo. Sia questo il woke, il transumanesimo o il super uomo. Mi accontento di essere umano, nella mia imperfezione e nel mio amore per la vita. Questo e solo questo per me è vivere secondo natura.
Essere esistenzialisti, una forma di resistenza al nichilismo e cinismo attuali?
Filosoficamente parlando mi sono sempre sentito vicino all’esistenzialismo, sempre interpretato alla mia maniera, ibrida, meticciata e non propriamente coerente in termini filosofici. Essere esistenzialisti oggi ha per me un valore particolare, è una forma di resistenza (anche dell’anima) un mondo che nega l’essere umano nella sua essenza, esistenza e libertà. Immersi come siamo dentro narrazioni conformiste ed omologate (ecco dove si trova oggi il wokismo vero) che riducono l’irriducibile unico umano a macchina, a pensiero binario, a semplice informazione, ad algoritmi e a chatbot. In questo riduzionismo, nichilista e cinico, privato come è di ogni trascendenza, scompaiono quelle che sono le specificità umane che non possono essere sostituite dalle macchine. Più grave ancora è l’affermarsi di un approccio tecnocratico che mira a imporre come unico esistente il suo modello associandolo a una normativa e a dei valori nel nome del progresso. Un progresso che la chiesa tecnocratica degli ultimi giorni impedisce di mettere in discussione perché oggetto di culto e portatore del futuro a venire. Lei su queste tematiche nel suo libro ha molto insistito, in particolare nel capitolo “I culti del mondo levigato”. Ci può riassumere i molti pensieri espressi nel libro?
Mi permetto di farlo con una ‘battuta’ che riassume un po’ tutto quello che ho detto qui sopra: sarà la poesia a salvarci. E per poesia intendo tutto ciò che è luogo in cui ritrovare la nostra umanità, il senso profondo del vivere, l’autenticità che non è schiacciata dall’intransigenza e dal moralismo. La libertà. In breve, questi sono gli antidoti al mondo levigato. Un mondo che vive di dinamiche di apparenza, di superficialità, di protagonismo e dichiarazionismo. Un mondo inutilmente veloce che replica costantemente sé stesso, in un eterno presente fatto di momenti sempre uguali. Invece, tornare alla sacralità dell’umano vuol dire recuperare la verticalità, la dimensione della trascendenza e accettare il brivido e la sfida dell’ignoto. Senza guardare sempre indietro ma neppure dimenticando da dove veniamo. Perché, come cita un adagio molto caro alla sinistra che fu, il futuro ha radici antiche”.
Ultima domanda. Recentemente insieme a Francesco Varanini ho rilasciato un progetto culturale chiamato STULTIFERANAVIS (www.stultiferanavis.it). Alla base della nostra iniziativa abbiamo posto una percezione: “In un mondo in cui domina l’ignoranza, la follia è essere saggi. Nei tempi in cui ci si affanna a chiedere luce a intelligenze artificiali, la novità sta nell’affidarsi al lume del pensiero umano, della parola e della poesia. Non una rivista, non una piattaforma: un progetto aperto, uno spazio transdisciplinare per condividere conoscenza.” Cosa pensa di un progetto come questo? Che utilità potrebbe avere?
Faccio i miei più sentiti auguri a questo progetto, in modo non retorico. Tutelare gli spazi di confronto, di approfondimento, di libertà è impresa coragguisa che merita rispetto. I vostri temi sono anche, in prevalenza i miei. Se c'à qualche difformità ben venga, vuol dire che lo spirito libero è al lavoro. Dunque viva STULTIFERANAVIS, che possa navigare in acque coraggiose.