Go down

L’immagine del leader come persona forte e carismatica permane nel tempo nonostante i tanti tentativi di attribuirgli una luce diversa. Rappresentazioni da cui derivano le ormai logore distinzioni tra capo e leader. Perché nella differenza tra chi comanda e basta e chi dimostra le capacità di saper guidare, resta comunque quello scalino - “one up one down” - capace, nella sua staticità, di generare innumerevoli tensioni e conflitti. Il primo passaggio per poter attingere all’idea di una leadership sostenibile consiste quindi nel riuscire a riformulare quell’apparente contraddizione. Attribuire un significato diverso all’inevitabile asimmetria di relazione, da intendersi sempre come una qualità temporanea del processo d’influenza e mai come una rendita di posizione stabile nel tempo.


La quantità di definizioni del concetto di leadership non ha probabilmente eguali nella letteratura del settore. È sufficiente consultare qualche testo di psicologia, sociologia o di cultura  manageriale per rendersene conto. Oppure, più semplicemente, attingere a un classico del sociologo americano Joseph Rost,  Leadership for the twenty-first century, che già nel 1991 ne citava 221. Un tale proliferare di definizioni ha sicuramente più di una spiegazione: la mutevolezza intrinseca di un concetto profondamente legato all’evoluzione sociale, soggetto quindi all’influsso di modelli educativi e culturali che hanno attribuito nel tempo significati diversi all’idea stessa di autorevolezza. Si aggiunge poi il limite dovuto ai tentativi di oggettivare una funzione che si genera in un processo di relazione, per sua natura quindi inevitabilmente intersoggettivo. Infine, il rischio di cristallizzare questa capacità nella descrizione delle caratteristiche ideali di una persona particolarmente carismatica. 

Ciò che colpisce, a un’analisi più attenta, è anche la profonda distanza che caratterizza alcune di queste definizioni. L’elenco, come abbiamo visto, sarebbe lunghissimo ma è sufficiente citare anche solo pochi degli aggettivi che di volta in volta sono stati accostati all’idea di leadership per cogliere immediatamente queste discrepanze: coercitiva, autorevole, comunicativa, affiliativa, democratica, carismatica, persuasiva, ecc. Eppure, il tentativo di attribuire attraverso un nuovo concetto la caratteristica vincente della “leadership del momento” si riaffaccia sempre, in particolare nei periodi di crisi, quando grandi cambiamenti si profilano all’orizzonte. È questo il caso della recente definizione di “leader gentile” nata dal disorientamento che ha investito il mondo del lavoro post crisi pandemica. Probabilmente è questa la ragione che indusse il guru della consulenza manageriale Peter Druker a cercare di aggirare tali problemi affermando, in modo un po’ tautologico, che: “l’unica possibile definizione di un leader è qualcuno che ha followers”. Alla fine, di fronte ai tanti tentativi di descrivere la vera essenza della leadership, verrebbe voglia di parafrasare la celebre frase di Sant’Agostino sul tempo: “se nessuno me lo chiede so che cos’è, ma se mi chiedono una spiegazione non lo so più”. 

Esiste una leadership sostenibile?

Alleggeriti dunque dall’obbligo di dover fornire una definizione esaustiva, è necessario liberarsi pure dell’ultima  zavorra: l’immagine del leader come persona forte, carismatica, “colui che guida”, implicita per altro nella radice etimologica della parola stessa. Rappresentazioni da cui derivano le ormai logore distinzioni tra capo e leader, perché nella differenza tra chi comanda e basta e chi dimostra le capacità di saper guidare, permane comunque quello scalino - “one up one down” - capace, nella sua staticità, di generare innumerevoli tensioni e conflitti. Il primo passaggio per poter attingere all’idea di una leadership sostenibile consiste quindi nel riuscire a riformulare quell’apparente contraddizione, attribuendo un significato diverso all’inevitabile asimmetria di relazione, da intendersi sempre come una qualità temporanea del processo d’influenza e mai come una rendita di posizione stabile nel tempo. Consapevoli che questo enunciato possa generare qualche dubbio, crediamo sia utile aprire una parentesi sul concetto di sostenibilità e sulle motivazioni alla base del suo accostamento alla leadership

Un mondo sostenibile

L’importanza di promuovere uno sviluppo sostenibile è un’idea che si è fatta strada nel tempo, come principio guida per la salvaguardia ambientale. Tracce di questo pensiero si possono ritrovare già negli scritti dei primi economisti, ma è con il rapporto “I limiti della crescita” pubblicato dal Club di Roma nel 1972, che si gettano le  basi per il concetto di sviluppo sostenibile. Definizione che compare ufficialmente per la prima volta in un documento della Commissione Mondiale per l’Ambiente nel 1987 (Rapporto Bruntland): “lo sviluppo che soddisfa le necessità del presente, senza compromettere la capacità delle prossime generazioni di fare lo stesso”. Da un’analisi più approfondita di quel documento emerge un’idea di sostenibilità che vede i sistemi ambientali, economici e sociali come profondamente interconnessi. Gli aspetti di natura ambientale ed economica, tuttavia, hanno avuto quasi sempre un ruolo di primo piano. Pensiamo alla ricerca, dai risvolti profondamente simbolici, pubblicata dalla rivista Nature nel dicembre del 2020 Le cose create dall’uomo superano tutta la vita sulla Terra. Indagine che spiegava come la totalità delle opere costruite dall’uomo, strade, dighe, edifici, ecc. avesse superato nel 2020 l’intera biomassa (1.100 miliardi di tonnellate contro i 1.000 dell’insieme del regno vegetale e di quello animale), mentre nel 1900 le cose costruite dall’uomo rappresentavano solo il 3% di questo rapporto.

La maggiore capacità e consuetudine a tradurre in cifre i problemi ambientali ed economici, possono spiegare questa disparità di attenzione, ma è proprio al concetto di sostenibilità sociale che dobbiamo guardare se vogliamo definire cos’è una “leadership sostenibile”. Non è difficile, infatti, individuare nei criteri di equità, uguaglianza dei diritti, coesione e inclusione, solitamente menzionati nei documenti che si occupano di sostenibilità sociale, inevitabili analogie con i temi riguardanti la vita e il benessere delle persone all’interno delle aziende e nel mondo del lavoro in genere. Un esempio molto chiaro, per la sua immediata traduzione in cifre, è quello relativo alle disparità in fatto di retribuzione. Se nel mondo d’oggi può sembrare utopistica la regola morale di Adriano Olivetti che sosteneva che nessun dirigente, neanche il più alto in grado, doveva guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario minimo, è difficile però immaginare come sostenibile un rapporto che in molti casi è di centinaia di volte maggiore. Un’analoga e doverosa riflessione andrebbe fatta rispetto alle ancora imponenti differenze salariali tra uomini e donne.

Guardare ai risvolti di natura sociale per scoprire una nuova dimensione della leadership, significa dunque sostenere che non può esserci nessun sviluppo sostenibile senza un profondo ripensamento della qualità delle relazioni umane in tutti i contesti sociali e quindi anche nel lavoro. Quando due giovani italiani su tre, come riporta un recente rapporto Oxfam,  pensano che occuperanno in futuro una posizione sociale ed economica peggiore rispetto alla precedente generazione, significa che qualcosa si è rotto. Risuona perfetto, a questo punto, l’antico detto dei nativi americani: “Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo a prestito dai nostri figli. Nostro è il dovere di restituirgliela”. Sono parole lungimiranti, capaci di concepire un ribaltamento della dimensione temporale, una visione in cui è il futuro che genera il presente, perché solo attraverso questa prospettiva riusciremo a sviluppare le risorse necessarie per generare il cambiamento. Per troppo tempo una visione stereotipata della leadership ha puntato a restringere questa competenza alle sole posizioni apicali, un’idea troppo selettiva tesa a cercare di oggettivare questa dimensione nelle caratteristiche ideali del leader, con tutte le implicazioni negative che il “leaderismo”, in quanto ideologia, ha generato. Esemplare, da questo punto di vista il saggio, sempre attuale, di Manfred Kets de Vries Leader, giullari e impostori.

L’idea di leadership sostenibile vive all’interno di un contesto di responsabilità diffusa, un’etica della responsabilità in grado di permeare l’insieme dell’organizzazione e delle persone coinvolte. In sintonia con una rinnovata sensibilità ecologica, che vede un numero sempre maggiore di persone, organizzazioni e istituzioni, impegnate nella costruzione di un futuro sostenibile, deve farsi strada un pensiero sistemico, capace di guardare alla natura complessa delle organizzazioni e dei sistemi sociali nei quali siamo coinvolti, per aprirsi a una nuova consapevolezza. Alla base del concetto di sostenibilità c’è la capacità di prosperare in equilibrio nel tempo con l’ambiente circostante. Non è sostenibile una leadership che consuma avidamente risorse (di qualunque tipo) nel presente, senza occuparsi di generare un futuro 

Leadership Sostenibile, perché?

Il mondo è cambiato, sono cambiate le persone. Per chi come noi, da molti anni, ascolta e dialoga con chi lavora nelle diverse organizzazioni, non è difficile constatare che abbiamo di fronte a noi persone diverse. E come potrebbe essere altrimenti? È cambiata l’educazione, a scuola come in famiglia. I modelli, a volte apertamente autoritari, sono stati sostituiti da forme che prevedono maggior coinvolgimento e partecipazione, e questo è accaduto in quasi tutti gli ambienti sociali.  La rivoluzione digitale ha cambiato i nostri comportamenti quotidiani in modo sempre più veloce e impressionante. Il concetto di disintermediazione si è fatto strada in moltissimi campi, e azioni che fino a pochi anni fa prevedevano di sottostare a piccole rendite di potere gelosamente custodite, oggi possono essere svolte nella comodità della propria abitazione con un semplice click. A questo riguardo va aggiunto lo straordinario esperimento sociale prodotto dalla pandemia, che ha portato milioni di persone a mutare in modo improvviso e radicale i loro comportamenti riguardanti il lavoro, con implicazioni sociali ancora difficilmente calcolabili. Di fatto, smart working o meno, il lavoro da remoto genera una situazione di maggiore autonomia, indipendenza, minore o più difficile controllo. In breve, rapporti più veloci, diretti e simmetrici, nelle organizzazioni.

Lo scenario di questa trasformazione, come si vede, è molto ampio, e per chi è abituato a osservare i mutamenti sociali cercando di attribuire un significato più profondo a ciò che accade, non sfugge il delinearsi di un mondo diverso, dove il concetto di “rete” s’impone rispetto ai modelli prevalentemente verticali e gerarchici del passato. Al di là degli effetti, ampiamente dibattuti, sulla diversa natura dei processi di comunicazione caratteristici delle due tipologie di organizzazione, per chi volesse approfondire l’argomento consigliamo il bel saggio di Albert László Barabási, Link, sulla “scienza delle reti”, per una maggiore comprensione dei fenomeni emergenti in ambito sociale, economico e ambientale, legati alla loro natura complessa.

Si è rotto un equilibrio. Meccanismi che avevamo ingenuamente immaginato come stabili e consolidati, sono saltati

Certo, non basta segnalare questo per illudersi di poter superare di slancio le fortissime resistenze a mantenere inalterate antiche asimmetrie di potere, o pensare  che il mondo disegnato dalle reti sia per definizione più giusto e democratico. Permangono ancora oggi fortissime diseguaglianze economiche e sociali, cionondimeno dobbiamo essere capaci di generare un pensiero diverso. Qualunque idea alternativa del concetto di leadership dovrà sapersi confrontare con un immaginario che ancor oggi accomuna l’idea di potere a una figura forte. Qualcosa, tuttavia, sembra cominciare a cambiare. La discontinuità generata dalla crisi pandemica ci ha imposto una riflessione sul nostro agire, e in molti si è fatta strada un’idea più equilibrata ed evoluta di ciò che intendiamo “forte”, perché ci ha messo davanti agli occhi i limiti e la fragilità di un sistema di sviluppo, apparentemente potentissimo, ma incapace di rallentare senza infliggersi ferite difficili da rimarginare. Si è rotto un equilibrio. Meccanismi che avevamo ingenuamente immaginato come stabili e consolidati, sono saltati, non solo quelli delle grandi catene logistiche e delle materie prime, qualcosa è accaduto anche dentro alle persone. Non si tratta più di impressioni, numerose indagini hanno messo in luce il forte desiderio di cambiamento che ha portato molte persone a fare scelte, a volte radicali, riguardo al lavoro, pur di ritrovare una condizione di maggior benessere nella loro vita. Molti segnali, soprattutto quelli che riguardano i giovani, indicano il desiderio di una diversa etica del lavoro, nella quale la ricerca di senso sembra giocare un ruolo determinante.

Uno sguardo più attento ai processi che sono alla base della vita e della sua evoluzione ci ha aiutato a correggere un quadro per consuetudine troppo sbilanciato sul ruolo delle dinamiche competitive, dimostrandoci che molto spesso è la cooperazione a svolgere un ruolo fondamentale. Coopetition, a proposito, è il neologismo creato per spiegare l’interazione dinamica di queste due forze, nella loro essenza opposte, che ha trovato spazio in ambito economico e nella teoria dei giochi. A partire da queste osservazioni proviamo a delineare gli elementi fondanti, le idee guida che dovrebbero ispirare una leadership sostenibile. 

Leadership sostenibile: le idee guida 

Responsabilità: come abbiamo visto, questa visione della leadership deve potersi muovere all’interno di un contesto di responsabilità diffusa, sentita e avvertita come necessaria a tutti i livelli. Un’etica della responsabilità in grado di permeare l’insieme dell’organizzazione attraverso comportamenti e pratiche di comunicazione coerenti. Non può esistere vera autonomia senza una forte assunzione di responsabilità. L’etica della responsabilità, diversamente da quella della convinzione, come abbiamo  appreso dall’insegnamento di Max Weber, non alimenta certezze, non traccia mai aprioristicamente una linea netta di demarcazione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, alimentando in questo modo divisioni e conflitti tra diverse sensibilità e culture. L’etica della responsabilità s’interroga sempre sulle conseguenze delle possibili scelte e soluzioni, lavora nella ricerca della miglior mediazione, ed è quindi, in questa accezione, sostenibile.

Pensiero Sistemico: un pensiero capace di comprendere la complessità, gli aspetti qualitativi che emergono dall’interazione di singole parti e i processi “non lineari”. Un pensiero consapevole dei vincoli d’interdipendenza sempre presenti nei sistemi complessi. Una visione capace d’interrogarsi sulle conseguenze delle decisioni nel tempo, contemplando sempre uno scenario più ampio: non sempre una soluzione efficace per raggiungere un certo risultato è buona se minaccia l’equilibrio futuro.

Cooperazione vs competizione: ciò che è sostenibile non è mai “un gioco a somma zero”. È necessario abbandonare la logica del “io vinco tu perdi” per abbracciare una reale “dimensione negoziale”, consapevoli della molteplicità degli interessi in gioco e della complessità dei sistemi sociali. La leadership sostenibile è “un gioco a somma diversa da zero”, opera per allargare il campo delle soluzioni possibili.

Comunicazione assertiva: una diversa leadership ha bisogno di una comunicazione diversa. Il concetto di assertività, nella definizione di Libet e Lewinsohn, è una perfetta sintesi di questa qualità:  “L’assertività è la capacità del soggetto di utilizzare in ogni contesto relazionale, modalità di comunicazione che rendano altamente probabili reazioni positive dell'ambiente e annullino o riducano la possibilità di reazioni negative”. Definizione che rimanda chiaramente a una visione sistemica della comunicazione. Chi comunica in modo assertivo afferma il proprio pensiero e chiede che gli venga riconosciuto uno spazio, un ruolo, nel corso dell’interazione. Riconoscendo, nello stesso tempo, a chi ha di fronte, i medesimi diritti. Comunicare in modo assertivo significa ricercare costantemente un equilibrio, una forza giusta, mai arbitraria, dove anche emozioni e sentimenti possono essere trasmessi in modo chiaro e diretto, senza per questo diventare minacciosi e aggressivi.

Empowerment: idea che nasce e si sviluppa nell’ambito delle battaglie per la conquista dei diritti civili, descrive un processo di crescita, individuale e di gruppo, che punta a far emergere potenzialità latenti attraverso un percorso di consapevolezza e di incremento della propria efficacia. Fare empowerment significa conferire potere, favorire l’autonomia individuale, garantendo nello stesso tempo una cultura orientata alla coesione sociale, alla diversità e all’inclusione.

Transitorietà: la leadership sostenibile è un valore che, nella giusta misura, dovrebbe essere esteso a tutta l’organizzazione, ma chi si trova a operare in posizioni di maggiore responsabilità, coerentemente al concetto di sostenibilità, dovrebbe essere consapevole dell’aspetto transitorio del proprio ruolo. Coltivare l’idea del limite come miglior antidoto contro le seduzioni del potere. Studi recenti sembrano confermare le ricerche dello psicologo Dacher Keltner, che aveva parlato di “paradosso del potere”, notando come l’esercizio del potere tenda a far perdere nel tempo le doti di empatia che avevano consentito di ottenerlo. Accettare l’idea del limite e contemplare l’inevitabile transitorietà del proprio ruolo, sono probabilmente gli aspetti che più contrastano con quanto la maggior parte degli studi sulla leadership ci hanno trasmesso. Dobbiamo invece imparare a considerarli come gli elementi fondanti di una rinnovata saggezza a cui la leadership sostenibile si deve ispirare.

 

 

 

Pubblicato il 25 febbraio 2025