Go down

Una meditazione sull’esame di s: più invecchio, più sospetto che l’ossessione dell’autoesame sia figlia della paura, non del coraggio. Esaminiamo noi stessi per rassicurarci di esistere, per illuderci di sapere da dove veniamo e dove andiamo. Ma se l’esame di sé fosse un modo elegante per evitare il salto?


A volte mi sorprendo a pensare che non occorra sempre pensare. Che vi siano gesti, atti, dedizioni che nascono completi, senza bisogno di riflessione. Come se esistesse una zona della vita – la più vitale – che non ha bisogno del pensiero per essere autentica.

Viviamo come se il dubbio fosse la condizione nobile dell’intelligenza. E forse lo è. Ma non è detto che sia la più piena. In certi momenti, ho ammirato chi agisce senza domande, chi si dedica a qualcosa o a qualcuno senza avvertire la necessità di spiegarselo. Non per incoscienza, ma per integrità.

Chi si ferma a riflettere è già, in parte, diviso. Si allontana da ciò che stava facendo per osservarlo. L’azione, così, perde calore. Si fa esitazione, si frantuma. La dedizione, per sua natura, è intera o non è. Una piuma attraversata dal vento del dubbio non sa più volare: scende a spirale.

Socrate sosteneva che la vita senza esame non è degna di essere vissuta. Ma forse non ci è mai stato chiesto di viverla in modo degno. Forse la vita, semplicemente, si offre e si prende, e in certi casi il suo valore sta proprio nel non essere interrogata. Come certe melodie che si rompono se provi a trascriverle in spartito.

Più invecchio, più sospetto che l’ossessione dell’autoesame sia figlia della paura, non del coraggio. Esaminiamo noi stessi per rassicurarci di esistere, per illuderci di sapere da dove veniamo e dove andiamo. Ma se l’esame di sé fosse un modo elegante per evitare il salto?

Socrate poneva domande agli altri. Non a se stesso. In questo trovo qualcosa di rivelatore. Forse era, nel profondo, meno capace di quanto affermasse di interrogarsi interiormente. Aveva un daimon, diceva: una voce interiore che lo ammoniva. Ma chi può davvero dire di avere una voce così netta e affidabile da ascoltarla senza inganno?

Forse l’interrogazione continua era la sua forma di fuga. Interrogava gli altri per non doversi fermare ad ascoltare il proprio silenzio. Si faceva tafano, pungolo pubblico, ma la sua stessa dedizione alla verità sembra più il riflesso di una mancanza che la traccia di una conquista.

Mi domando se non sia questo il destino di molti pensatori: costruire un’etica per colmare una frattura, elaborare sistemi per tener lontano il caos. Il pensiero critico, talvolta, è una forma di igiene interiore. Ma può diventare ossessione, e l’ossessione logora l’azione.

Ho incontrato persone che vivono senza chiedersi nulla. Non si pongono problemi morali, non teorizzano, non riflettono sulle proprie motivazioni. Eppure, sono intere. Non frammentate. Non inquiete. Agiscono, e ciò che fanno è, in un certo senso, più vero del mio eterno interrogarmi. Non so se siano migliori. Ma sono certamente più radicate.

Noi, al contrario, spesso ragioniamo non per vedere il mondo com’è, ma per vederlo come vorremmo fosse. Formuliamo principi non a partire da ciò che siamo, ma da ciò che desidereremmo essere. L’autoesame diventa una narrazione postuma, un modo per costruirci un volto dopo aver agito con un altro.

E allora mi chiedo: chi siamo, quando non ci guardiamo? Chi siamo nel gesto puro, nel moto spontaneo, nel salto nel vuoto? È lì, forse, che si misura il carattere. Non nella coerenza con l’ideale, ma nella qualità dell’istinto che ci guida prima della parola.

Non voglio rinunciare all’autoesame. Ma non voglio nemmeno farne un altare. Lo penso come un esercizio, non una religione. Un modo per abitare la soglia tra ciò che si sa e ciò che non si può sapere. Un varco, non un tempio.

Se c’è una saggezza, forse sta nel mantenere in equilibrio la piuma e il vuoto: sapere quando riflettere, e quando smettere. Sapere che il dubbio è necessario, ma non onnipotente. Che la dedizione non deve sempre spiegarsi. Che vivere, a volte, è un atto che non tollera domande.

E allora, quando agisco senza pensare, non sempre mi rimprovero. Forse è il momento più vero del mio pensare.


Pubblicato il 05 aprile 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / “omnia mea mecum porto”: il vero valore risiede nell’esperienza e nella conoscenza che portiamo con noi

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