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Abstract: La nozione di dignità umana è fondativa nel sistema internazionale dei diritti umani, tuttavia la sua definizione rimane incerta. Sebbene in un primo momento l’assenza di una formulazione razionale e univoca di questo concetto ha avuto l’effetto positivo di consentire la sua recezione e rielaborazione particolaristica nei diversi contesti culturali, garantendo l’espansione e lo sviluppo dei diritti umani, la policrisi che sta colpendo la comunità planetaria mette in luce l’inadeguatezza di tale fondamento dinanzi alla complessità del Capitalocene. In questo articolo analizziamo la crisi attuale del paradigma filosofico della dignità umana e proponiamo una sua riformulazione compatibile con il pensiero ecologico.


Sebbene sia centrale nell’ambito del sistema internazionale dei diritti umani, il termine “dignità” resta sostanzialmente indefinito[1].

La concreta problematicità della sua definizione è stata accantonata dai diplomatici che hanno redatto nel 1948 la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (UDHR) mediante il ricorso ad una interpretazione intuitiva del concetto, in grado di sintetizzare le istanze umanistiche evidenti al senso comune della cultura occidentale dell’epoca[2].
Questa scelta di carattere politico e istituzionale ha avuto il pregio di favorire la diffusione mondiale del paradigma culturale di solidarietà umana universale e del sistema giuridico internazionale dei diritti umani.

Difatti, il concetto di dignità umana è stato tradotto all’interno di ciascuna realtà sociale particolare alla luce del substrato culturale di riferimento, prevalentemente di matrice religiosa[3], proprio grazie alla pluralità di interpretazioni rese accettabili dai redattori della UDHR e delle successive Convenzioni Internazionali legalmente vincolanti per le nazioni firmatarie.

All’interno del concetto di dignità permane un carattere metafisico, in quanto mediante tale nozione l’ordinamento internazionale attribuisce un sostanziale valore intrinseco a ciascun essere umano giustificato, a seconda del contesto culturale, dal rapporto di ”immagine e somiglianza” con il Dio veterotestamentario, oppure per la presenza di una scintilla divina, come sostenuto dalle correnti induiste e buddhiste, a seconda delle diverse interpretazioni tradizionali[4].

Tuttavia, il progresso scientifico e l’abbandono del pensiero metafisico in concomitanza con l’affermazione sempre più preponderante di un laicismo secolare disincantato all’interno del dibattito pubblico internazionale, propagato durante il processo di globalizzazione dal modello ideologico neoliberista di stampo materialistico, razionalistico e utilitaristico, hanno progressivamente eroso nella coscienza collettiva mondiale la pregnanza degli orizzonti di senso metafisici all’interno dei quali il concetto di dignità umana trovava il proprio significato condiviso.

Quest’erosione è riconducibile alla morte di Dio, intesa in questo contesto come la perdita di centralità della dimensione trascendente dell’esistenza nella vita pubblica, in concomitanza con la progressiva riduzione della trascendenza ad un fatto privato, mentre le esperienze collettive vengono interpretate e descritte sempre più esclusivamente tramite un linguaggio confinato nella dimensione dell’immanenza[5].

Vogliamo a questo punto discutere alcuni profili che evidenziano ulteriormente la crisi della dignità umana all’interno del più ampio contesto della policrisi che contraddistingue il Capitalocene.

L’allarmante consapevolezza dell’origine antropica del riscaldamento globale e della distruzione ecologica ad esso annessa fa vacillare l’idea di un eguale valore intrinseco in ciascun essere umano, indicato dalla nozione di dignità.

Il comportamento della nostra specie all’interno del Capitalocene appare irrazionale e degradante

Infatti, la magnitudine della devastazione già in corso e in progressiva espansione, salvo inversioni di tendenza incredibilmente rapide in termini di adozione di politiche di sostenibilità ambientale e innovazione delle filiere di produzione e distribuzione alimentari, energetiche e industriali, rappresenta un fortissimo argomento contro la dignità umana.
D’altronde come si può affermare il valore intrinseco e incondizionato e meritevole di tutela di una specie attivamente intenta a distruggere il proprio habitat e quello di altre decine di migliaia di specie viventi? Che si voglia adottare la prospettiva di Pico della Mirandola, che fondava la dignità nella capacità tipicamente umana di autodeterminarsi mediante le proprie libere scelte, degradandosi o elevandosi; oppure la prospettiva aristotelico-tomista e illuminista per cui la dignità umana deve essere ricondotta alla capacità razionale che distingue l’umanità dalle altre creature viventi, vegetali o animali; in entrambi i casi, il comportamento della nostra specie all’interno del Capitalocene appare irrazionale e degradante.

Questo sentimento di irrazionalità e degradazione nei riguardi della storia umana è particolarmente forte all’interno delle nuove generazioni: orfane del mito del progresso che aveva alimentato le speranze del XX secolo, condizionate ad adattarsi all’interno dei meccanismi, dei ritmi e delle prassi sociali del capitalismo digitale, esse si trovano in una posizione schizofrenica nella quale, da una parte, sono chiamate ad immergersi nel flusso produttivo del mercato globale, adattandovisi per garantirsi il proprio sostentamento e cooperare per la prosperità economica della propria comunità di riferimento; ma dall’altra la loro sensibilità etica si rifiuta di concorrere attivamente ad alimentare il sistema che sta riducendo sempre più le probabilità che le generazioni future possano vivere su un pianeta abitabile.

In questo quadro si inseriscono le diverse crisi storiche e geopolitiche legate all’esacerbazione dei conflitti ucraino-russo e israelo-palestinese, che alimentano una percezione pessimistica dell’umanità, recidiva nel cedere alla brutalità della guerra e della violenza.

Si vuole qui mostrare la fragilità della dottrina dei diritti umani qualora la dignità umana sia fondata sul collegamento del valore intrinseco degli esseri umani ad un certo quid performativo, che possa essere la ragione illuministica, il libero arbitrio mirandoliano o altre «central human capabilities»[6], in quanto legare la dignità ad una o più determinate capacità attive implica la perdita della dignità qualora tali capacità non fossero messe in atto, come nel caso di uomini che agiscono irrazionalmente o in modalità degradanti. A quel punto la protezione e la tutela della dignità umana e dei diritti umani che su essa si fondano non sarebbe più dovuta, in quanto gli esseri umani inadempienti o incapaci sarebbero privi di dignità.

Per questo non si può fare della dignità una questione di capacità, virtù, caratteristiche tipiche dell’umanità riconducibili ad una definizione essenzialistica più o meno precisa di natura umana.

Nel Capitalocene e nel culto della prestazione che lo contraddistingue, è più che mai necessario scollegare la dignità da un “fare”, poiché essa pertiene all’”essere” proprio dell’umano; tuttavia è problematico determinare tale essenza umana svincolandola da qualunque forma di attività.
La necessità e l’urgenza di sciogliere tale problematicità è la più forte ragione alla base della stesura di questo articolo, in quanto, senza una solida fondazione filosofica della dignità umana, resiliente rispetto ai mutamenti storici, le tutele del sistema internazionale dei diritti umani rischiano di essere risucchiate nel vortice del nichilismo giuridico tecno-capitalistico[7].

La direzione che ci appare consona per riformulare efficacemente il paradigma della dignità umana è radicandolo nella sfera affettiva ed emozionale piuttosto che in quella della razionalità metafisica.
La solennità e l’importanza dell’UDHR e delle Convenzioni ad essa seguite possono essere associate alla proclamazione, allo stesso tempo degli individui e delle collettività, di un impegno di cura verso ciascun membro di quella che appare sempre più necessario considerare la “famiglia umana”, una famiglia che deve aspirare a coesistere solidalmente, nonostante conflitti e atrocità del passato e del presente, sul pianeta Terra insieme alle altre specie viventi.

Tale familiarità è fragile e la sua valorizzazione e popolarizzazione richiede lo sviluppo di una nuova cultura umanistica, con una corrispondente educazione sentimentale e scientifica di carattere planetaristico.

La forma fondamentale di tale cultura può essere immaginata come un ellisse i cui due punti focali sono la nostra specie homo sapiens sapiens e Gaia, intesa come «un’entità complessa comprendente la biosfera della Terra, l’atmosfera, gli oceani e il suolo, l’insieme costituendo una retroazione (feedback) o un sistema cibernetico che cerca un ambiente fisico e chimico ottimale per la vita su questo pianeta»[8].

Nel paradigma culturale qui delineato, questi due fuochi si mantengono in perpetua relazione retroattiva tra loro, traendo il proprio valore dall’ellisse che costituiscono congiuntamente, piuttosto che da una loro sostanzialità isolata.

All’interno di tale forma di pensiero, a scanso delle istanze anti-personalistiche delle correnti anti-speciste che mirano a negare un ruolo prioritario dell’umanità nell’alveo delle specie viventi in nome di un egualitarismo biologico, la nozione di dignità umana manterrebbe la sua valenza distintiva, in grado di enfatizzare l’importanza di ogni singolo membro della famiglia umana per ciascun membro dell’umanità; simultaneamente, tale “pensiero ellittico” consentirebbe l’integrazione dell’alterità delle altre forme di vita terrestri all’interno di un pensiero umanistico non più di carattere esclusivamente antropocentrico e auto-referenziale, bensì aperto alla cura planetaria dell’Altro.

Tale proposta culturale manterrebbe vivo il concetto di dignità umana in modo permanente, senza ricorrere a soluzioni di carattere metafisico o a particolarismi culturali, in quanto la dignità umana sarebbe il valore risultante dall’insieme delle relazioni simbiotiche che, macroscopicamente, compongono l’umanità e Gaia e che, microscopicamente, intercorrono tra il singolo essere umano e la rete della vita planetaria.

In tale quadro concettuale, ogni forma di vita terrestre ha una sua dignità e una sua familiarità all’umanità; ma la tutela e la garanzia della dignità umana è in linea di massima prioritaria, in quanto riconosciamo negli esseri umani il più stretto grado di parentela rispetto al resto delle specie viventi terrestri.

 


Bibliografia

C. R. Beitz, Human Dignity in the Theory of Human Rights: Nothing But a Phrase?, Philosophy & Public Affairs, SUMMER 2013, Vol. 41, No. 3
D. L. Shelton, Advanced Introduction to International Human Rights Law, Edward Elgar Publishing Limited, Cheltenham UK, 2014
L. Boff, Un’etica della Madre Terra. Come prendersi cura della casa comune, Lit Edizioni, Roma, 2019
M. C. Nussbaum, Frontiers of Justice: Disability, Nationality, Species Membership, Harvard University Press, Cambridge-Massachussets, 2006
M. C. Taylor, After God, University of Chicago Press, Chicago U.S., 2009
N. Irti, Nichilismo giuridico, Laterza, Roma-Bari, 2004
S. Vaj, Indagine sui diritti dell’uomo. Genealogia di una morale, LEdE-Akropolis, Roma, 1985

Note

[1]    Cfr. C. R. Beitz, Human Dignity in the Theory of Human Rights: Nothing But a Phrase?, Philosophy & Public Affairs, SUMMER 2013, Vol. 41, No. 3, pp. 266-268

[2]    In questa sede non ci dilungheremo sulla descrizione del processo storico che ha portato alla formulazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (UDHR), efficacemente trattato in C. R. Beitz, Human Dignity in the Theory of Human Rights: Nothing But a Phrase? per concentrarci sui caratteri filosofici più attuali della questione. Non ci focalizzeremo nemmeno sul tema della genealogia della dottrina dei diritti umani e delle criticità relative ai connotati ideologici della stessa. Per tali questioni, rimandiamo a S. Vaj, Indagine sui diritti dell’uomo. Genealogia di una morale, LEdE-Akropolis, Roma, 1985

[3]    Cfr. D. L. Shelton, Advanced Introduction to International Human Rights Law, Edward Elgar Publishing Limited, Cheltenham UK, 2014, pp. 2-4

[4]    Ibid.

[5]    Cfr. M. C. Taylor, After God, University of Chicago Press, Chicago U.S., 2009, pp. 348-359

[6]    Martha C. Nussbaum, Frontiers of Justice: Disability, Nationality, Species Membership, Harvard University Press, Cambridge-Massachussets, 2006

[7]    Cfr. N. Irti, Nichilismo giuridico, Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 41-42

[8]    L. Boff, Un’etica della Madre Terra. Come prendersi cura della casa comune, Lit Edizioni, Roma, 2019, p. 17

Ani Shehi

Ani Shehi / Scrivo per Ispirare Passione per la Saggezza | Consulente Filosofico, Business Developer e Maestro di Karate

shehiani987@gmail.com