“Hai Facebook? No. ! WhatsApp? No. !Instagram? No. Telegram? No niente, però se vuoi sono proprio qui di fronte a te.” - Schulz
Gli elementi costitutivi di una Rete Sociale non vanno confusi con quelli di un social network, semplice strumento applicativo o piattaforma software attraverso la quale è possibile ampliare una rete sociale personale già esistente, anche online. La Rete Sociale è una realtà e un concetto più complesso. Si riferisce ai nodi (individui ma non solo) che compongono la rete ma anche ai loro ruoli, alle relazioni che li caratterizzano e che possono assumere forme diverse a seconda del tipo di comunicazione usata (monodirezionale, bidirezionali o multidirezionali), ai rapporti di potere, all’intensità e il grado di coinvolgimento, alla natura emotiva dei legami, alla quantità e alla tipologia delle interrelazioni, all’esistenza eventuale di sotto-unità che si manifestano anche nella forma di gruppi, comunità e altre tipologie di organizzazioni sociali come comunità di conoscenza o di pratica, e altre ancora.
Con la terminologia di Rete Sociale si fa riferimento a un concetto utile a definire la realtà personale di un individuo, e i contesti sociali che la caratterizzano, ma anche a uno strumento antropologico e sociologico utilizzabile per leggere, interpretare e comprendere la realtà psicologica, personale e sociale di chi ne fa parte, nella vita reale (rete sociale) così come in quella online (social network). A caratterizzare la rete sociale è la comunicazione che intercorre tra i nodi che la compongono, la relazione piuttosto che la condivisione di fini, valori o culture particolari, importanti ma non necessari.
Un social network è lo strumento, oggi usato da miliardi di persone, per costruire reti sociali online. Reti nelle quali i nodi, più che da persone, sono costituiti da profili digitali, usati per rappresentare sé stessi online ma anche facilmente manipolabili da altri, manipolati e sfruttati anche dagli algoritmi tecnologici che li usano. Profili digitali confusi, spesso erroneamente, con persone, profili emergenti come ologrammi dalla superficie di un display ma quasi sempre diversi da quelli percepiti o ritornati da uno specchio. Profili digitali che finiscono per dare forma a identità digitali, definite da Wikipedia come "l’insieme di dati che online descrivono in modo univoco una persona, fornendo le informazioni utili alla sua identificazione e alla costruzione di un identikit individuale". Online, ogni persona può disporre di identità digitali multiple che, tutte insieme, ne definiscono la sua realtà individuale e sociale negli spazi abitati della Rete.
L’avvento dei social network ha coinvolto tutti, semplici persone così come studiosi, giornalisti e narratori, ma quanti sono consapevoli che le Reti Sociali sono preesistenti ai Social Network, li contengono, e che da tempo sono oggetto di studio da parte di sociologi, antropologi e psicologi? Quanti si interrogano sull’uso che, di questi studi e conoscenze, hanno fatto e fanno i produttori di piattaforme e applicazioni di social networking, per costruire realtà sociali digitali (reti, gruppi, forum, comunità, ecc.) online capaci di attrarre numeri crescenti di persone con il solo obiettivo di farle abitare e frequentare? Quanti si interrogano sul fatto che le interazioni e le relazioni umane non possono essere delegate a profili digitali e neppure agli algoritmi di Facebook, di Linkedin o di Google Plus? Quanti traggono reali benefici e vantaggi dalle loro Reti di contatti virtuali?
Provare a rispondere a queste e altre domande significa riflettere criticamente sull’uso che facciamo della tecnologia con l’obiettivo di non rimanervi intrappolati, impossibilitati a esercitare semplici azioni, di cui oggi abbiamo bisogno come l’aria, come quelle che si esprimono in gesti di gentilezza.
Gentilezza come strumento comunicazionale e relazionale
E di questo noi stiamo parlando, di gentilezza come strumento comunicazionale e relazionale che si manifesta oggi nelle reti sociali di persone, così come in quelle virtuali e online dei contatti generate da piattaforme tecnologiche e alimentate dai loro algoritmi. Gentilezza come strumento relazionale ma anche come libera scelta che trova espressione online così come offline. Gentilezza come capacità di sentire e cercare di immaginare le conseguenze delle nostre azioni, anche di quelle che oggi rappresentano il vissuto quotidiano determinato dall’interazione e dalla comunicazione mediate tecnologicamente. Sentire in questo caso significa emanciparsi dal mezzo tecnologico per imparare a usarlo, in modo creativo, empatico e proattivo. Per gestirlo finalizzandolo a obiettivi esistenziali concreti come la felicità, il benessere personale di sé stessi e degli altri con cui ci si relaziona.
viviamo in un paese dalla Costituzione gentile, un modello di accoglienza e di cordialità
Anche se “viviamo in un paese dalla Costituzione gentile, un modello di accoglienza e di cordialità il cui spirito amichevole si propaga innanzitutto dal linguaggio…” (Michele Ainis), la gentilezza è diventata merce rara, forse neppure tanto ricercata e proprio per questo da salvaguardare e proteggere come elemento di bio-diversità umana. La mancanza di gentilezza si manifesta oggi in particolare nei mondi virtuali della Rete, mondi che sono reali come quelli attuali perché vissuti come tali (virtuale non si oppone al reale, ne esprime una potenzialità, una possibilità) e perché sono diventati spazi affollati da moltitudini di persone che sembrano incapaci di percepire l’esistenza di scelte alternative possibili.
I media di comunicazione di questi mondi tecnologici sono diventati strumenti potenti di trasformazione della realtà. La loro costruzione non nasce da gesti concreti ma è sempre più determinata attraverso gesti virtuali e parole. Erano parole anche quelle delle storie, dei racconti e delle favole che Sherazade usava nelle Mille e una notte (esempio tratto dal libro di Lamberto Maffei Elogio della parola). Ma mentre quelle parole servivano a garantirsi la salvezza dalla morte e a garantirla anche ad altre fanciulle vergini destinate al piacere mortale del sultano, quelle usate online non producono sempre risultati pragmatici e non proteggono alcun tipo di verginità. I mondi a cui danno origine sono spesso vuoti di gentilezza così come di esperienze salvifiche. Sono mondi oggi percepiti ancora come da sperimentare e analizzare nei loro effetti e nelle loro conseguenze, ma domani probabilmente completamente consustanziali agli esseri umani o umanoidi che verranno. Esseri umani modificati tecnologicamente, nelle componenti strutturali, funzionali e linguistiche del cervello, che dovrebbero guardare a questa prospettiva come un percorso e una destinazione da definire partecipando in modo proattivo a garantirne la qualità e la specificità umana.
La gentilezza non è una funzione innata e non è legata a caratteri o personalità particolari. Tutti possono essere gentili ma essendo esseri umani siamo anche creature ambivalenti obbligate spesso a fare delle scelte. In questo caso a scegliere la gentilezza al posto dell’aggressività, della disattenzione e della disconferma[1]. L’atomizzazione sociale corrente restringe gli spazi sociali reali, non sostituibili da quelli digitali online, facendo scomparire la solidarietà che è alla base di tante forme di gentilezza. Il narcisismo imperante, alimentato anche dalla facilità con cui si può rappresentare il proprio Sé online, impedisce forse di guardarsi dentro (lo specchio non ritorna mai l’immagine veritiera di chi guarda, ancora meno il profilo digitale nel quale ci si rispecchia dentro a un display) ma soprattutto di guardarsi intorno e scoprire che ci sono altre persone alle quali prestare attenzione, con le quali riconoscersi e nelle quali riflettersi.
Se i valori che caratterizzano l’era digitale, come sottolineato con preoccupazione e allarme da un numero crescente di studiosi e intellettuali (segno dei tempi alla fine dei tempi o semplice tecno-consapevolezza?), sono tutti declinabili al negativo, nella forma di arroganza, rabbia e prepotenza, aggressività, invidia e violenza, distrazione e mancanza di attenzione (nel senso già descritto di ad-tendere), la gentilezza può diventare un antidoto, anzi l’antidoto non violento, pacifico e solidale per eccellenza. Un mezzo di prevenzione (no placebo), una pratica per coltivare contatti umani ed evitarne la perdita (perdere un contatto su Facebook è meno grave che perdere quello con una persona reale), uno strumento di libertà contro il conformismo dilagante e l’ebbrezza ubriacante della velocità dei MiPiace (la gentilezza obbliga alla lentezza), oltre che una scelta etica.
Non tutto ciò che è tecnologico o avviene online è necessariamente buono, innovativo, progressista e da vivere senza porsi delle domande. Sono semplicemente nuove opportunità, percepite come positive per le potenzialità (virtualità) salvifiche e felicitarie che promettono ma che proprio per questo dovrebbero suggerire di interrogarsi su alcune delle loro conseguenze: deresponsabilizzazione, indifferenza, confusione tra ambienti reali e virtuali, perdita di capacità di scelta. Interrogarsi significa “[…] ripristinare le differenze di fondo tra ciò che si vive quotidianamente offline e ciò che possiamo sperimentare online […] ripristinare all’interno del virtuale vari livelli di interazione, diversi tra loro, che non possono essere messi tutti sullo stesso piano, […] acquisire la capacità di orientarsi nel virtuale, […] in modo da poter elaborare e praticare in maniera corretta un’etica delle relazioni virtuali” (Etica per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione – Adriano Fabris).
Un primo modo di praticare un’etica delle relazioni è di essere gentili, dentro una rete di persone reali e/o di contatti virtuali, con sé stessi e poi con gli altri. Scegliendo ad esempio con cura le forme di comunicazione praticate e dando senso alle parole utilizzate, evitando di farsi violenza confondendo l’assembramento che caratterizza la frequentazione online di Facebook con il riunirsi e lo stare insieme, ricco di significati, coinvolgimento, anima e spiritualità (Byung-Chul Han – Nello sciame) della rete sociale familiare o amicale offline. Le reti di contatti possono diventare strumenti di rete sociale, anche nella vita reale, ma solo superando la superficialità, fugacità, volatilità e instabilità relazionale che spesso caratterizza quelle online. E anche optando per scelte etiche non omologate ai comportamenti più diffusi (perché inoltrare e diffondere senza riflettere sulle conseguenze di cinguettii e post violenti, razzisti, omofobi o misogini?) riappropriandosi della propria umanità. Una scelta che dovrebbe nascere dalla consapevolezza che il mondo virtuale nel quale oggi si spendono in media 7/8 ore al giorno, non è il solo nel quale agiamo e possiamo fare la differenza. Una scelta che potrebbe esprimersi ad esempio in azini dettate dalla gentilezza, della comunicazione online così come dei gesti.
La superficialità dei rapporti e delle conversazioni digitali sono spesso legate ai contenuti e ai messaggi scambiati. In un’era dominata dalla tecnologia, dalle notizie spazzatura (fake news, post-verità e molto altro), dalla virtualità dei rapporti privati di sguardi, senza gesti (online spariscono la tattilità e la corporeità) se non quelli delle dita che sfiorano la superficie di un display, aumenta il bisogno di fondare le nostre conversazioni su rapporti diversi, profondi, autentici e non banali. Rapporti basati sul dialogo e lo scambio di parole, di pensieri più profondi e articolati di un semplice cinguettio, pensieri e riflessioni capaci di far riflettere, generare domande e creare situazioni e contesti che rendano tutto ciò possibile. Ad esempio contesti dominati da comportamenti improntati alla gentilezza come strumento in grado di facilitare l’incontro e la relazione, grazie al suo essere spesso accompagnata dalla presenza fisica dei corpi, dal gesto amichevole che comunica sentimenti e aspettative, dallo sguardo empatico (“la comunicazione digitale è povera di sguardo”) dai volti che lo sostengono e dal sorriso rilassante che sempre accompagna la piacevolezza del conversare.
Comunicazione e comportamento sono la stessa cosa e anche la gentilezza è comunicazione che si fa comportamento, gesto, impronta e consuetudine. Viviamo tempi poco gentili, anzi molto maleducati, irrispettosi e violenti (come si fa a cinguettare che la fisica non è per le donne….?), soprattutto nei confronti degli altri intesi come diversi, stranieri, ebrei, neri, rom, donne, omosessuali, ecc. (nel suo bel libro Gentilezza, Alberto Meschiari evidenzia come ciò non sia prerogativa dell’era digitale, è già successo in tempi passati con conseguenze che andrebbero ricordate e raccontate ai giovani Nativi Digitali). I tempi sono poco gentili nella società (basta prestare orecchio e cuore, più che testa, alla narrazione politica corrente sempre più aggressiva e improntata sulla distinzione tra ‘noi’ e ‘loro’), nei gruppi familiari e amicali (basta osservare il fenomeno del femminicidio e i fatti di cronaca violenti che coinvolgono i più giovani), nelle aziende (basta leggere il fenomeno del precariato come una regressione a forme di lavoro che escludevano per definizione ogni forma di gentilezza come ad esempio la schiavitù) e soprattutto online (qui gli esempi sono innumerevoli ma declinati in modi diversi come atti di bullismo digitale, di furti di identità ma anche di fake news, post-realtà, pratiche politiche violente e contenuti spazzatura).
Praticare forme di gentilezza nella vita reale e in quella virtuale non è impossibile, né complicato: si può salvarsi la vita sollevando lo sguardo dal proprio smartphone mentre si attraversano le strisce pedonali killer di Milano; si può sorprendere una persona al bar pagandogli un caffè e cambiandogli l’umore cattivo con cui si era alzato; si possono inviare messaggi positivi a amici o conoscenti senza secondi fini e non dettati dagli algoritmi delle applicazioni digitali installate sul dispositivo mobile; quando si saluta con un sorriso una persona sconosciuta nell’ascensore di casa o dell’ufficio o si cede il posto in fila alla posta a una persona anziana o a uno straniero; scrivendo una raccomandazione non richiesta su un profilo Linkedin; cedendo il proprio posto sul metro a una donna incinta o a una persona portatrice di handicap (quanti dei Nativi Digitali lo fanno? E perché molti stranieri extracomunitari sì?); spegnendo lo smartphone in compagnia di altri o creando spazi temporaneamente liberati da strumenti tecnologici in case abitate da bambini; aiutando una mamma a far scendere il passeggino in una delle tante scale delle stazioni metropolitane e ferroviarie italiane ancora prive di accessi appositi o ascensori; e infine dedicando parte del proprio tempo giornaliero a qualcosa che si ama fare in modo particolare o ad attività associative e di volontariato nel sociale…della realtà.
I benefici che derivano dal praticare la gentilezza, anche online, sono numerosi, tangibili, percepibili e verificabili. Altri se ne aggiungono anche dalla capacità contagiosa che nasce dal cambiamento di umore che la gentilezza è in grado di generare (secondo alcune ricerche scientifiche il contagio nascerebbe dalla produzione di ossitocina una sostanza che abbassa la pressione del sangue migliorando autostima e ottimismo). Essere gentili significa appartenere partecipando alla vita degli altri (condividere non è partecipare), provare qualche forma di compassione (caring) che si traduce in gesti e azioni concrete di aiuto o sostegno degli altri, qualcosa di molto più e molto diverso dall’esprimere un semplice MiPiace virtuale online. La gentilezza funziona come un’aspirina, solitamente usata per equilibrare battiti cardiaci e fluidità del sangue, prevenire patologie varie e ridurre il dolore. Produce una condizione di piacevolezza mentale, come un antidepressivo che stimola la produzione di serotonina infondendo calma e serenità in chi la pratica. Sembra produrre anche endorfine, solitamente note come sostanze capaci di ridurre sofferenze e dolori e contribuire alla riduzione di stress e di ansia. Il piacere e la serenità che sempre nascono da una relazione soddisfacente eliminano la percezione di solitudine e l’ansia, che sempre nasce dall’assenza di relazioni, dall’averne di insufficienti e dalla difficoltà crescente nell’autorealizzazione del Sè.
La gentilezza fuori dalla Rete si esprime nella capacità di guardarsi negli occhi, nel coinvolgimento emotivo, nello sguardo curioso e attento verso l’oggetto dell’attenzione e la sua presenza. Online il gesto gentile è sempre esercitato con la testa china, piegata sul display di un dispositivo come quella della nonnina intenta a rammendare o dello schiavo obbligato dai caporali, schiavisti attuali, a non alzare la testa interrompendo la raccolta di pomodori. L’attenzione è tutta rivolta al movimento delle dita che si muovono velocissimamente su una tastiera virtuale, su una APP, un videogioco o su un’icona. La componente tattile del tocco o dello struscio continuo sulle superfici levigate del display è tangibile, cinestetico, ma incapace di produrre quelle emozioni e sensazioni che sempre nascono dalla comunicazione non verbale tra persone reali. Impossibilitato a rilevare le numerose differenze soggettive e le sfumature che caratterizzano gli esseri umani e che come tali possono condizionare la comunicazione e la relazione.
Come riuscire ad esempio a cogliere la prevalenza della componente visiva (percezione e memoria fotografica della realtà, gestualità, tono della voce e ruolo essenziale degli occhi) in persone con cui si interagisce attraverso un display? Come è possibile relazionarsi, attraverso messaggi e texting, con persone che, forse perché sono introverse, riservate e riflessive, interagiscono con la realtà prevalentemente attraverso il senso dell’udito, i suoni e le sonorità, i rumori e i loro ritmi, e prediligono il dialogo e la conversazione (il suono delle parole, i significati dettati dai ritmi e dalle tonalità)? E infine come entrare in contatto con persone cinestetiche (in genere più emotive e socievoli di altre perché dominate da sensazioni corporee e percettive) che sono abituate a una interazione tattile (con una mano o un braccio non con un display o un touchpad), olfattiva e gustativa (per sentire fisicamente e mentalmente le sensazioni generate) con gli ambienti e le realtà che frequentano?
Online tutto va veloce, l’attimo fuggente è tutto ciò che conta, l’adesso viene prima di ogni cosa, tutto è tempo reale e live, si è spinti al consumismo compulsivo, usa e getta, il multitasking ruba attenzione, tempo e risorse, il tutto senza alcun momento di tregua e relax. Catturati da impulsi e azioni che non si possono rinviare si rischia di perdere l’orientamento e di perdersi. Si perde di vista tutto ciò che non può avvenire nell’immediatezza del presente e che come tale è trasformazione, evoluzione e vita. La generosità al contrario non va veloce, neppure online, anche quando si esprime in gesti rapidi e appiattiti come quelli di un Like, di una condivisione multimediale con WhatsApp o di re-tweet. Che senso ha l’invio di innumerevoli messaggini o cinguettii se non servono a creare le condizioni e a produrre l’alchimia dell’ascolto consapevole o se non sono espressione di attenzione, nel senso di ad-tendere, tendere verso qualcosa (La gentilezza che cambia le relazioni di Anna Maria Palma e Lorenzo Canuti) e allungarsi verso di essa.
Per comunicare la disponibilità reale a un dialogo, a un confronto o a una conversazione e per coltivare una relazione che possa anche concretizzarsi nella vita al di fuori della Rete, più che il presentismo tipico della Rete serve garantire e far percepire la presenza, una presenza dilatata capace di esprimere “una gentilezza morbida che si appoggia a ciò che esiste nella forma di una persona, di un oggetto, nel particolare di un vestito, di un suono, una sensazione…” – Palma/Canuti). Una presenza caratterizzata dalla lentezza tipica della prudenza, virtù che praticata online permetterebbe sempre di considerare le conseguenze della comunicazione, i rischi associati alle azioni online, di riflettere sull’esposizione del Sé e sul ruolo che le identità digitali (profili degli account social e non solo) possono avere nel determinare il successo e la positività di una relazione. Un primo passo necessario verso la gentilezza sostanziale e non superficiale.
Molti dei messaggi che caratterizzano la comunicazione online fanno uso di linguaggi, parole, sintassi che tutto sono tranne che gentili (vedi ad esempio i molti messaggi che alimentano oggi la demagogia populista e fascista, xenofoba e razzista in Rete). Molti messaggi che popolano i social network, in particolare quelli espressi con un MiPiace o un cinguettio, sono semplici sequenze di segnali ridotti al minimo. Semplice espressione patologica di narcisismo, autismo (nella forma di sindrome di Asperger), presentismo e presenzialismo piuttosto che un gesto vero e sentito di solidarietà, di presenza, di compartecipazione o di generosità. Sembrano dettati da forme di comunicazione che evidenziano la fuga dalla parola (Lamberto Maffei: Elogio della Parola) e dalla conversazione (sul tema Sherry Turkle ha scritto un intero volume dal titolo La conversazione necessaria).
Le conversazioni online sono disturbate dal ronzio continuo determinato da una massa di persone più attente al loro digitare che al loro interlocutore o interlocutrice. Lo sono sia nel modo nel quale l’informazione viene comunicata (scarsa attenzione al rumore di fondo, alla ridondanza e al canale utilizzato); sia nella capacità di comprenderne la semantica e le sue convenzioni, da rispettare sempre con attenzione per riuscire a trasformare semplici sequenze di simboli in significati; e infine anche nel raggiungere obiettivi pragmatici. Obiettivi che, nel caso della gentilezza, dovrebbero prevedere la costruzione di una relazione nel tempo, non semplicemente situazionale, estemporanea o dettata dalla contestualità di un evento o da una occasione virale online.
Lo scenario comunicativo delineato dalla diffusione delle piattaforme di social networking ha fluidificato la comunicazione ma non per questo facilitato la relazione tra persone reali e neppure tra contatti virtuali. In particolare quel tipo di relazione resa piacevole, sentita e partecipata dalla “linfa vitale che arriva al cuore” della generosità. Le relazioni interpersonali fondano la loro efficacia su processi comunicativi di qualità, molto meno sulla quantità tipica delle interazioni relazionali online. Se l’obiettivo è di migliorare le relazioni non bisogna dare per scontato di essere sempre nel giusto o che la propria visione del mondo sia la sola possibile. Bisogna evitare di essere troppo centrati su sé stessi come succede spesso nelle comunicazioni online che finiscono per non generare ascolto o attenzione, per produrre nuove solitudini, senso di inadeguatezza e malessere esistenziale. Bisogna evitare l’aggressività e praticare la tolleranza autentica, non quella piagnona e fasulla che spesso emerge dalla comunicazione online fatta di chiacchiericcio e rumori di fondo, di ripetitività e adesione passiva alle conversazioni emergenti e virali di turno.
Evitare non è l’azione principale in cui impegnarsi. Conta molto di più impegnarsi proattivamente (valenza del linguaggio generativo) in azioni e buone pratiche comunicative, dettate dalla gentilezza, che favoriscano la connessione, l’ascolto (se si ascolta è più probabile essere ascoltati), l’efficacia pragmatica della comunicazione (ciò che l’interlocutore fa con il messaggio ricevuto), l’abbraccio e il coinvolgimento, il rispetto reciproco, l’empatia, la condivisione di benefici e vantaggi, l’attenzione al contesto nel quale la comunicazione avviene, la consapevolezza di sé stessi come partecipanti all’atto del comunicare. Queste pratiche devono valere sia quando ci si rivolge a sé stessi (trattarsi con gentilezza), sia se si vuole dare reale e maggiore profondità alle relazioni con altre persone, nei luoghi reali della vita di tutti i giorni ma anche online.
Le buone pratiche relazionali
Per prepararsi a queste buone pratiche relazionali è necessario comprendere che una faccina, un emoticon digitale (ormai ne esistono migliaia, spiegati anche in libri che li descrivono per le loro correlazioni con i sentimenti umani) è mezzo potente ma insufficiente a esprimere la ricchezza dei sentimenti, neppure a spiegarne il ruolo che rivestono nel determinare le nostre azioni. Eppure i sentimenti, sempre legati a qualche forma di interlocuzione o interazione con gli altri, sono fondamentali nel determinare le forme di comunicazione praticate, nelle relazioni sociali e nel soddisfare i bisogni personali, come quello di essere compresi, ascoltati, abbracciati, ecc. Bisogni che non trovano soddisfazione in manifestazioni virtuali, come quelle degli emoticon o delle immagini o dei selfie di Instagram, ma richiedono fisicità e corporeità, sguardi negli occhi, comunicazioni non verbali e tanta empatia.
Quello che si può fare, sia online sia nella vita reale, è di lavorare sulle forme della comunicazione, ad esempio adottando e sviluppando un linguaggio positivo, chiaro, onesto, trasparente, capace di comunicare sentimenti, empatico, aperto alle reazioni e alle domande dell’interlocutore. Lavorare sulle forme della comunicazione, come nella pratica della gentilezza, è frutto di una scelta, una decisione maturata nel tempo anche quando si esprime in modo spontaneo ed estemporaneo. Fare una scelta comporta la consapevolezza degli effetti da essa provocati, dei bisogni alla cui soddisfazione è destinata e dei sentimenti piacevoli da essa probabilmente prodotti.
Nella consapevolezza che dovrebbe accompagnare la relazione digitale rientra l’essere consapevoli delle caratteristiche della comunicazione online. Molte espressioni di gentilezza digitale ad esempio si manifestano oggi nell’interazione tra profili digitali e con algoritmi. Entità pensate, prodotti da altri e che danno della gentilezza una interpretazione puramente algoritmica e meccanicistica. E’ l’algoritmo che, grazie ai dati in suo possesso e alle sue componenti logiche, gestisce l’interazione e la conversazione e mette a disposizione all’utente gli strumenti (emoticon) per esercitarle. Determinando così anche i contesti e gli ambiti nei quali esse avvengono, anche nell’esprimere forme di gentilezza online. Questi contesti, determinati tecnologicamente e gestiti algoritmicamente, stanno dando forma a luoghi cognitivi caratterizzati da surplus informativo e comunicazionale digitale, ma anche a spazi geografici abitati da entità miste, ibride e sempre più contraddistinte dalla presenza di entità tecnologiche come macchine umanoidi, assistenti personali e robot.
Nel futuro prossimo venturo sarà forse possibile interagire con Robot sorridenti e cortesi (il sorriso più smagliante è oggi quello del robot Pepper, ma tutti i robot sono sorridenti, perché dovrebbero essere altrimenti…), dall’aspetto coinvolgente e amichevole, capaci di gesti di gentilezza, compassione e solidarietà. Gesti dettati però da semplici algoritmi intelligenti, incapaci di produrre la ricchezza che sempre caratterizza ogni gesto solidale, amichevole, di attenzione e di presenza tipico di ogni azione e comportamento umano di gentilezza.
[1] Una comunicazione ritenuta patologica perché nega l’esistenza dell’altro. E’ spesso veicolata dalla comunicazione non verbale e si manifesta ad esempio nell’ignorare l’altro, nel cambiare discorso, nel voltare il viso da un’altra parte. Assume e comunica il significato di ”Tu non esisti”.