Go down

A oltre un secolo dalla pubblicazione, il romanzo resta attuale. Berta Garlan siamo noi, ogni volta che desideriamo fuori copione. Ogni volta che scopriamo che la libertà è un atto, non una concessione. Ogni volta che lo spazio psichico si allarga e la società cerca di richiuderlo. Schnitzler non salva, non consola. Ci invita a guardare. E quel che vediamo, se sappiamo leggere tra le righe, è un invito a pensare. Pensare a come ancora oggi il desiderio femminile sia terreno minato. Pensare a come la soggettività venga normata, silenziata, derisa.


Desiderio femminile e repressione borghese

Berta Garlan è una donna silenziosamente in rivolta. Vedova decorosa e madre ligia, vive in un angolo sonnolento dell’Impero asburgico, schiacciata da convenzioni più robuste dei muri della casa dei suoceri. Un giorno, tra una lezione di pianoforte e l’altra, decide di attraversare il Rubicone borghese: parte per Vienna, a cercare un uomo del passato. Il pretesto è la nostalgia, il movente è la fame. Fame di emozione, di sé, di corpo.

Il viaggio, a dispetto della geografia, è interiore. Nella città-inconscio, luogo denso di fantasmi e desideri repressi, Berta incontra Emil, ex compagno di conservatorio ora violinista celebre e narcisista incallito. Un solo incontro, una notte di illusione, e il brusco ritorno alla realtà. Emil è un uomo del secolo: seduce, ottiene, scappa. Berta, invece, è la sopravvissuta di un ordine che le ha insegnato a desiderare in silenzio.

Ma il punto non è Emil. Il punto è che Berta, per un istante, si sente viva. E scopre il corpo: non più funzione coniugale, ma soglia di un piacere senza scopo. Una rivoluzione privata, destinata a infrangersi contro un mondo che non contempla una donna desiderante, e per giunta madre. Rifiuta di farsi amante, rifiuta il patto sporco dell’ipocrisia, e così firma la propria condanna: rientro in provincia, lutto del possibile, silenzio.

La società che la circonda è un teatro dell’obbedienza. Donne come Berta devono essere madri o vedove, non individui interi. Gli uomini, come Emil, possono sedurre e dimenticare, le donne devono custodire. A perdere è chi osa desiderare fuori spartito.

Accanto a Berta c'è Anna Rupius, altro frammento di femminilità messa alle corde. Moglie di un uomo paralitico, ama altrove, resta incinta, si sottopone a un aborto clandestino. Muore. Anche lei ha provato a uscire dal copione, con esiti irreversibili. Schnitzler non giudica, ma mostra. La sua è una narrativa senza tribunale, dove il reale è già accusa e condanna.

Il silenzio come voce: la scrittura del non detto

A differenza dei celebri monologhi interiori di Schnitzler, Berta Garlan resta in terza persona. Ma non è distanza: è filtro. Le emozioni della protagonista si infiltrano nei verbi, nei tempi, nei vuoti tra un periodo e l’altro. Quando Berta cammina per Vienna, la narrazione scivola dal passato al presente: non c'è bisogno di dichiararlo, è la lingua stessa a entrare nello stato emotivo del personaggio.

Il vero protagonista è il non detto. Schnitzler, da abile clinico dell’anima, sa che ciò che non si esprime è spesso più eloquente di ciò che si enuncia. Le omissioni, le reticenze, i dialoghi a metà: tutto cospira a raccontare una verità non dicibile, ma intuibile. Un dolore opaco, una gioia trattenuta, un ricordo come ferita.

Lo stile è sobrio, ma vibrante. Non c'è compiacimento estetico, ma una misura chirurgica: ogni parola serve a costruire lo spazio psichico della protagonista. La temporalità si piega al ritmo emotivo. I giorni del viaggio diventano esperienza dilatata, sinfonia interiore, mentre il ritorno si condensa in una nota muta.

Il finale è lì, immobile: Berta siede accanto al vedovo Rupius. Due reduci. Due testimoni di una guerra mai dichiarata, quella contro il desiderio negato. Nessun riscatto, nessuna punizione. Solo lo specchio del fallimento sociale di cui sono vittime. E forse complici. 

Vienna 1900: laboratorio dell’inconscio

Scrivere di Berta Garlan significa scrivere di Vienna 1900. La città di Freud, di Mahler, di Schiele. Lì, sotto le guglie gotiche e le sinfonie wagneriane, l’Impero canta i suoi ultimi lieder mentre la psicoanalisi scava nei sogni.

Schnitzler è medico, amico di Freud, e più che scrittore è sintomo di un’epoca. La sua letteratura anticipa il caso clinico, scompone la superficie e vi cerca la faglia. Berta è una paziente che non ha chiesto terapia, ma il suo viaggio è un percorso psichico: scoperta del desiderio, rimozione della colpa, trauma della realtà.

Lingiardi, nella postfazione, parla di donne radicali e complesse. Ha ragione. Berta non è un personaggio vittoriano che sbaglia per ingenuità. È un individuo che osa interrogarsi su sé, e che scopre il proprio corpo non come oggetto d’uso ma come sede di esperienza. Il suo errore, se errore c'è, è l’aver pensato che il mondo fosse pronto a tollerarlo.

Berta non ha accesso a una parola libera: parla nel codice del tempo, dove il sesso è rimosso, l’amore è matrimonio e la passione è vizio. Il suo tentativo di riscrivere il copione fallisce, ma nel fallimento emerge una consapevolezza: la maschera cade, e sotto non c'è redenzione, solo realtà.

In questa prospettiva, Berta Garlan è un romanzo sovversivo. Non urla, non proclama, non denuncia. Ma mostra. Mostra che l’ordine sociale è fondato sull’esclusione del desiderio femminile. Mostra che la libertà, per le donne, non è concessa, ma va presa. E che chi la prende paga.

Ereditarietà del disagio, attualità della maschera

A oltre un secolo dalla pubblicazione, il romanzo resta attuale. Berta Garlan siamo noi, ogni volta che desideriamo fuori copione. Ogni volta che scopriamo che la libertà è un atto, non una concessione. Ogni volta che lo spazio psichico si allarga e la società cerca di richiuderlo.

Schnitzler non salva, non consola. Ci invita a guardare. E quel che vediamo, se sappiamo leggere tra le righe, è un invito a pensare. Pensare a come ancora oggi il desiderio femminile sia terreno minato. Pensare a come la soggettività venga normata, silenziata, derisa.

Berta si mette a pensare solo alla fine. Non è poco. Pensare è già dissenso. Pensare è già un gesto politico.


Fonti:

Arthur Schnitzler, La signora Berta Garlan, trad. Renata Colorni, Rizzoli BUR, 2025

Vittorio Lingiardi, Postfazione a La signora Berta Garlan, Rizzoli BUR, 2025

Del Furore, "La piccola tessera di un grande mosaico narrativo", 2016

Reinhard Urbach, cit. in Italo Alighiero Chiusano, Introduzione BUR 1986

Diari di Arthur Schnitzler

Sigmund Freud, Lettere a Schnitzler, 1922

 

Pubblicato il 20 aprile 2025

Andrea Berneri

Andrea Berneri / Head of Architecture and ICT Governance Fideuram ISPB. I turn complex systems into strategies, bridging law, tech, and organization—with method, irony, and precision

aberneri@fideuram.it