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Un dialogo tra Franco Fornari e Byung-Chul Han sulla crisi dell’umano contemporaneo


Un’inquietudine profonda abita il nucleo stesso del nostro tempo, un malessere diffuso, ma spesso taciuto, che si esprime sotto forma di disagio soggettivo, disgregazione del legame sociale, polarizzazione affettiva e svuotamento simbolico. Di fronte a questo quadro, due pensatori radicalmente diversi per formazione e stile – Franco Fornari (1921–1985), medico, neuropsichiatra, psicoanalista, Presidente della Società Psicoanalitica Italiana (1974-78), e Byung-Chul Han (1959–), filosofo e critico della società – offrono strumenti profondi per leggere i sintomi del presente.

Tre i nuclei concettuali in cui le loro riflessioni si intersecano in modo sorprendentemente fecondo: l’angoscia, il simbolico e l’alterità. Il dialogo che ne emerge non è solo teorico: è una proposta implicita di ricostruzione dell’umano in un tempo che ne minaccia la dissoluzione.

L’angoscia come fondamento negato

Per Fornari l’angoscia non è un accidente patologico, ma una componente strutturale dell’apparato psichico umano, che nasce dal rapporto con l’oggetto primario – la madre – e si sviluppa nella tensione tra amore e odio, tra desiderio di fusione e paura di perdita. In particolare, l’angoscia è al centro del lutto: elaborare la perdita dell’oggetto amato è il fondamento stesso del pensiero simbolico, della capacità creativa e della relazione con l’altro.

Se però l’angoscia non viene elaborata, se non viene trasformata in simbolo, si proietta all’esterno sotto forma di paranoia, scissione, distruttività. In questo senso, l’angoscia è ambivalente: può aprire alla cultura o chiudere alla distruzione. Il soggetto moderno – secondo Fornari – tende sempre più a difendersi dall’angoscia, non tanto integrandola o attraversandola, quanto piuttosto rimuovendola o espellendola. Questo avviene attraverso meccanismi di difesa collettivi, socialmente condivisi e culturalmente normalizzati: la spettacolarizzazione del male, la proliferazione del linguaggio della sicurezza, la semplificazione dicotomica tra “noi” e “loro”, il ricorso alla violenza simbolica e reale. Invece di assumersi il compito psichico di trasformare l’angoscia in pensiero, il soggetto contemporaneo – individuale e collettivo – tende a esternalizzarla, alimentando dinamiche paranoiche e regressive.

Invece di trasformare l'angoscia in pensiero, oggi tendiamo a esternalizzarla

Han: l’angoscia come assenza di negatività

Byung-Chul Han, pur muovendosi in una cornice diversa, giunge a una visione analoga. Per lui, la società contemporanea ha sostituito l’angoscia con il disagio della performance: non c’è più un conflitto visibile, bensì un logoramento interno. L’uomo odierno è esposto a un eccesso di positività: deve essere sempre attivo, produttivo, visibile, ottimista. In questa logica, l’angoscia – come esperienza di limite, di negatività, di vulnerabilità – diventa illecita. Non è più culturalmente riconosciuta, né soggettivamente tollerata.

Han descrive una società dell’auto-sfruttamento, in cui il soggetto si consuma nella prestazione continua, senza opposizione, senza sintomo, senza conflitto. L’angoscia non viene più proiettata come in Fornari, ma internalizzata e anestetizzata: il dolore non è più espulso, ma dissolto nella stanchezza cronica, nella depressione, nell’ansia diffusa. È il trionfo dell’indolore.

Fornari e Han convergono in un punto fondamentale: l’angoscia è stata espulsa dal campo simbolico. Ma mentre Fornari la vede tornare sotto forma di distruzione paranoide, Han la vede implodere nella forma della depressione narcisistica. In entrambi i casi, l’impossibilità di simbolizzare l’angoscia genera soggetti incapaci di trasformare il dolore in esperienza. Il disagio non è né vissuto né pensato, ma solo agito o silenziato. Il primo passo verso la ricostruzione dell’umano è dunque il ripristino del diritto all’angoscia: riconoscerla, accoglierla, non negarla.

l’angoscia è stata espulsa dal campo simbolico.

La crisi del simbolico

Fornari: simbolizzazione come lavoro del lutto 

Per Franco Fornari, la simbolizzazione affonda le sue radici nel lutto. È proprio l’esperienza della perdita, dell’assenza di un oggetto d’amore, a generare nell’essere umano il bisogno di rappresentare, di dare forma a ciò che non è più. Simbolizzare, in questa prospettiva, significa rendere pensabile l’assenza, trasformare il vuoto lasciato dalla perdita in qualcosa di condivisibile e comunicabile. È un atto creativo, attraverso il quale l’angoscia primitiva viene contenuta e trasformata.

Il simbolo, quindi, non è un ornamento del pensiero, ma la sua stessa condizione di possibilità. È grazie alla capacità simbolica che la psiche umana evita di frammentarsi sotto il peso del dolore e della mancanza: rappresentare ciò che non è più presente permette di dare senso alla perdita, di metabolizzarla, di trasformare l'angoscia muta in pensiero narrabile. Solo così l’essere umano può costituirsi come soggetto – e, nei momenti di crisi, ricostruirsi.

In questa logica, la cultura – intesa nel senso più ampio – diventa il grande contenitore simbolico collettivo. Arte, mito, religione, filosofia, scienza: tutti sistemi condivisi di simbolizzazione, strumenti elaborati dalla civiltà per affrontare le paure fondamentali dell’esistenza, per dare forma e senso a ciò che minaccia di sfuggire alla comprensione. In particolare, elaborano l’angoscia della perdita, della morte, del caos, restituendole una forma che possa essere pensata e, dunque, attraversata.

Quando, però, il simbolico si indebolisce, quando la cultura smette di produrre rappresentazioni capaci di elaborare il lutto, la mente si trova priva di strumenti per contenere l’angoscia. A quel punto riemerge la distruttività più arcaica, quella che non pensa, ma agisce, quella che non rappresenta, ma colpisce. È il trionfo dell’azione cieca, della reazione impulsiva, della catastrofe. La condizione atomica – con la sua potenzialità annientante – diventa allora una metafora potente di una psiche collettiva che ha smesso di rappresentare e ha iniziato a distruggere, incapace di trasformare il dolore in pensiero, di elaborare simbolicamente la perdita.

Han: la trasparenza come annullamento del simbolo

Han denuncia una cultura che ha rifiutato il simbolico in favore della trasparenza assoluta. Il simbolo, per definizione, è opaco, ambiguo, mediato: rimanda ad altro da sé, implica distanza, tempo, memoria. Il mondo contemporaneo, però, ha cancellato l’opacità: tutto deve essere immediatamente comprensibile, visibile, accessibile. In questo orizzonte, il simbolico è rimosso perché troppo complesso, troppo lento, troppo enigmatico. L’esperienza è sostituita dall’informazione, l’interiorità dalla condivisione, la profondità dalla superficie.

Il risultato è una cultura senza rimozione, senza sacro, senza rituali: una cultura in cui nulla si elabora, tutto si consuma. Han parla così di una, possiamo dire, “pornografia del reale”, riferendosi a una società dove tutto dev’essere mostrato, anche a costo di snaturarlo o svuotarlo di senso, in cui ogni mediazione è abolita e il simbolico è svuotato, ridotto a pura funzione estetica o comunicativa.

Fornari e Han condividono una diagnosi inquietante: abbiamo perso la funzione simbolica, ma mentre Fornari rimane ancorato alla possibilità di ripristinarla attraverso la psicoanalisi e la cultura, Han sembra più pessimista: il simbolico è già stato sostituito da un regime di visibilità permanente. Tuttavia, entrambi indicano che senza simbolo, non c’è psiche, non c’è umano. Il simbolico è il luogo della sublimazione, dell’elaborazione, della trasformazione. Dove il simbolo muore, resta solo il corpo performante o il corpo distrutto.

Alterità e relazione

Fornari: l’altro come luogo della trasformazione affettiva

Per Franco Fornari, l’altro – sia esso umano, simbolico o culturale – rappresenta sempre il luogo in cui si gioca la possibilità della trasformazione psichica. La relazione con l’altro non è mai neutra: è attraversata da affetti intensi e spesso ambivalenti – amore, odio, desiderio, timore – che costituiscono vere e proprie forme di comunicazione emotiva. Attraverso queste dinamiche affettive, il soggetto si modella, si modifica, si riconosce e si differenzia. La psiche, per Fornari, non esiste come entità isolata, ma è intersoggettiva per definizione, strutturalmente fondata sull’incontro e sul confronto con l’alterità.

In questo senso, l’altro non è un semplice interlocutore o un oggetto esterno, ma una presenza costitutiva del mondo interno. Senza l’altro – reale o simbolico – non può esserci sviluppo psichico, né costruzione di senso. Tuttavia, la relazione con l’altro è sempre anche potenzialmente perturbante: proprio perché l’altro ci tocca nel profondo, può anche ferirci, deluderci, farci sentire vulnerabili. Il problema, sottolinea Fornari, sorge quando il soggetto si trova in una condizione di angoscia non elaborata. In questo stato, l’altro non viene più riconosciuto come soggetto con cui entrare in relazione, ma viene percepito come un contenitore delle parti negative della propria interiorità. L’altro diventa così il ricettacolo del proprio male interno, su cui si proiettano le paure, le colpe, l’aggressività che il soggetto non riesce a gestire.

È in questo passaggio che si attiva la dinamica paranoica: l’altro, da oggetto relazionale, viene trasformato in nemico persecutorio, fonte di minaccia e quindi da combattere, escludere o annientare. Questa dinamica è, per Fornari, alla base non solo della violenza interpersonale, ma anche di fenomeni collettivi come la guerra, l’odio ideologico, il razzismo e tutte le forme di chiusura identitaria che negano l’alterità invece di accoglierla.

La via per uscire da questa impasse passa, secondo Fornari, attraverso il lavoro del lutto: solo elaborando la perdita, accettando il limite e la mancanza, il soggetto può reintegrare l’altro non come minaccia, ma come soggetto a sua volta portatore di desideri, paure e fragilità. È questo passaggio – dalla proiezione distruttiva alla relazione simbolica – che rende possibile una cultura della pace, del dialogo e della trasformazione. 

Han: l’altro come elemento rimosso

Per Han, la società contemporanea è post-relazionale: l’altro non è più un soggetto con cui entrare in relazione, ma una funzione da gestire. Il narcisismo digitale, l’economia dell’attenzione, la cultura della prestazione hanno prodotto un mondo in cui l’altro è diventato simile: un riflesso, un like, una conferma. L’alterità è cancellata perché è troppo dispendiosa, troppo imprevedibile, troppo faticosa. Non esiste più conflitto né incontro reale, ma solo interazioni superficiali tra egologie isolate. L’esito è una solitudine strutturale, che Han definisce “solitudine immunologica”: il soggetto è protetto da ogni contaminazione, ma proprio per questo incapace di trasformarsi.

Per entrambi gli studiosi, l’altro è oggi impossibile da abitare, ma mentre per Fornari è perseguito e attaccato, per Han è svanito, neutralizzato. Il primo descrive un soggetto che uccide l’altro per non sentire il dolore; il secondo, un soggetto che non incontra più l’altro per non esporsi alla vulnerabilità. In entrambi i casi, la relazione autentica – fatta di rischio, di scambio, di riconoscimento – è sostituita da forme patologiche di isolamento o violenza.

Conclusione: il ritorno del simbolo come atto etico

Il dialogo tra Fornari e Han, pur da prospettive diverse, converge su un punto cruciale: la crisi dell’umano è crisi della simbolizzazione. Il soggetto contemporaneo – ora depresso, ora paranoico, ora iper-performante – ha smesso di abitare l’angoscia, ha rifiutato la perdita, ha evacuato l’altro. Vitale comprendere che senza queste esperienze fondamentali – la mancanza, la relazione, il dolore – non esiste spazio psichico, non esiste pensiero, non esiste libertà.

Ripristinare il simbolico, allora, non è un esercizio teorico, ma un atto etico e politico: significa restituire dignità al dolore, tempo all’elaborazione, profondità alla relazione. Con Fornari ci riappropriamo dell’inconscio come luogo di comunicazione e trasformazione, mentre Han avverte che senza questa riconquista si profila una società senza interiorità, senza senso, senza resistenza.

Insieme, ci offrono una mappa preziosa per attraversare la crisi, non con lo sguardo dell’allarmismo o della nostalgia, ma con quello – più raro e necessario del pensiero.

 


Bibliografia

Opere di Franco Fornari

  • Fornari, F. (1966). Psicoanalisi della guerra. Milano: Feltrinelli.
  • Fornari, F. (1969). Dissacrazione della guerra. Milano: Feltrinelli.
  • Fornari, F. (1975). Genitalità e cultura. Milano: Feltrinelli.
  • Fornari, F., Basaglia, F. (1978). La violenza. Firenze: Vallecchi.
  • Fornari, F. (1979). Codice materno e comunicazione. Milano: Feltrinelli.
  • Fornari, F. (1985). Psicoanalisi della situazione atomica. Milano: Feltrinelli.

Opere di Byung-Chul Han

  • Han, B.-C. (2012). La società della stanchezza. Roma: Nottetempo.
  • Han, B.-C. (2014). La società della trasparenza. Roma: Nottetempo.
  • Han, B.-C. (2015). Nello sciame. Visioni del digitale. Roma: Nottetempo.
  • Han, B.-C. (2016). Il neoliberismo e le nuove tecniche del potere. Roma: Nottetempo.
  • Han, B.-C. (2021). La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite. Torino: Einaudi.
  • Han, B.-C. (2023). Digitale e la crisi della democrazia. Torino: Einaudi.

Pubblicato il 07 aprile 2025