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Nessun testo che un autore sta scrivendo, nessun progetto in corso sarà mai ‘cosa ben sistemata’. Nessun lavoro di scrittura, e nessun progetto si conclude perché il lavoro è 'finito'. L'autore che scrive un testo -come chiunque impegnato nello svolgimento di un lavoro, sarà costretto a decidere, a un certo punto, facendo violenza su se stesso, a rilasciare il risultato raggiunto- nonostante l'acuta percezione della sua incompletezza, della sua imperfezione. Tranquillizzato, forse, dal fatto che i difetti sono scesi sotto una tollerabile soglia. Per questo lo 'Zibaldone' di Leopardi è il testo esemplare. Accumulo disordinato di carte, resterà in un baule. Solo alla fine del secolo, sessant'anni dopo la morte del poeta si penserà alla sua pubblicazione. Ma ogni testo leopardiano che appare finito è un sottoprodotto dello Zibaldone. Un estratto di quel baule. Lo 'Zibaldone' è una cornucopia: sovrabbondante fonte di testi possibili. Così, in generale, si può dire che ogni progetto è frutto di un metaprogetto: è frutto dell'intenzione di progettare, dell'impegno messo nel progettare. La riflessione attorno al continuo tentare di Leopardi -ogni suo lavoro è un assaggio, una prova, un esperimento- riguarda non solo ogni scrittore, manager, ma anche ogni manager, ogni lavoratore. E in fondo questo modo di costruire conoscenza, per accumulo di tentativi, è anche una spiegazione di ciò che può essere, di ciò che cerca di essere, il luogo digitale nel quale pubblico questo testo: la 'Stultifera Navis'.


Leopardi risponde nel marzo del 1836 ad una commovente lettera di Charles Lebreton, diciottenne entusiasta allievo di Louis de Sinner, filologo svizzero che progettava l'edizione francese di una raccolta di testi leopardiani. Scrive: "Malgré le titre magnifique d’opere que mon libraire a cru devoir donner à son recueil, je n’ai jamais fait d’ouvrage, j’ai fait seulement des essais en comptant toujours préluder, mais ma carrière n’est pas allée plus loin". "Malgrado il magnifico titolo di Opere che il mio editore ha creduto di dover dare alla raccolta, io non ho mai fatto opere, ho fatto soltanto saggi". "Je n’ai jamais fait d’ouvrage": il verbo fare e il sostantivo opere ci parlano di testi chiusi e finiti. Portati a termine.

Leopardi contrappone all'opera il saggio. Se l'opera non può che essere conclusa, il saggio è sempre aperto. Il saggio è una prova. Il testo di riferimento sono gli Essais di Montaigne1: allo stesso tempo 'esperimenti' e narrazione di 'esperienze' - è il senso del verbo experior: 'provo a tirar fuori'. Il saggio è dunque testo non finito, non rifinito. Progetto di testo possibile. Il testo si presenta al lettore in una delle sue possibili definizioni.

Definire è stabilire un limite. Si può certo definire un testo: sia l'autore, sia il filologo possono dire: questa è la versione ultima, finale. Ma Leopardi rifiuta questo limite. Ogni suo scritto ci dice, è un saggio, un assaggio, un tentativo. Il finito rimanda sempre all'infinito.

Oltre la siepe

"Sempre caro mi fu quest'ermo colle/ e questa siepe, che da tanta parte/ dell'ultimo orizzonte il guardo esclude./".2 Caro è il colle e cara è la siepe che nasconde, esclude allo sguardo il tenebroso ignoto. Al di qua della siepe è il comodo mondo del fare e dell'opera, il mondo del progetto delimitato.

"Ma sedendo e mirando, interminati/ spazi di là da quella, e sovrumani/ silenzi, e profondissima quïete/ io nel pensier mi fingo, ove per poco/ il cor non si spaura." Spazi sconfinati "nel pensier mi fingo": mi immagino, oltre la siepe del fare e dell'opera.

Progettare è sporgersi oltre, là dove non si può che procedere per tentativi, per prove. Fingere è in latino 'modellare', 'plasmare'. Il vasaio che ha in mente l'idea del vaso, come lo scrittore che sviluppa con rigore un piano dell'opera prestabilito, si autoconfina in visione già avuta.

Leopardi è testimone di come a lato, al di là di questo vasaio e di questo scrittore, sta la figura dell'autore che finge: plasma, modella la materia, esplora il possibile. Immagina cose oltre siepe, ed immaginando cose oltre la siepe immagina se stesso oltre la siepe. Consapevole di non essere solo vasaio, è disposto anche ad andare anche oltre i limiti impliciti della materia che sta plasmando. Immagina altre materiali e tecniche possibili. E' disposto alla trasmutazione, alla trasfigurazione.

Conosciamo artisti, manager, tecnici che si considerano vasai. Essi con dedizione e con rigore perseguono il raggiungimento dello scopo attenendosi a specifiche regole consolidate.

ma carrière n’est pas allée plus loin -  non ho fatto altro che provare, tentare

Conosciamo altri artisti, manager, ricercatori, persone impegnate in progetti che si muovono nella linea che Leopardi ci indica. Leopardi guarda e non vede, ma intravede. Desidera. Progetta nuove cose perché progetta -proietta oltre la siepe- se stesso. Si colloca sempre su una nuova frontiera che lascia di fronte terreno inesplorato. Conoscendo con dolore i propri limiti dice: "ma carrière n’est pas allée plus loin", non sono andato più lontano, non sono andato oltre, non ci sono ancora riuscito. Eppure sa di dover tentare ancora. "Per poco il cor non si spaura": disposto all'ansia, perché responsabilmente consapevole della propria ignoranza e dell'incommensurabile vastità dell'orizzonte, accetta di immergersi nel flusso - salpare, togliere l'ancora, muoversi nell'acqua o nell'aria: "tra questa immensità s'annega il pensier mio". "E il naufragar m'è dolce in questo mare".

Zibaldone

Non ci sono convincenti concordanze sull'origine della parola zibaldone: forse una vivanda che mescola ingredienti diversi. Ma già nel 1500 stava per 'quaderno con una miscellanea di memorie, riflessioni, appunti'. Leopardi intitolò Zibaldone di pensieri il testo che andò scrivendo dal luglio 1817 al dicembre 1832 - dai diciannove ai trentaquattro anni, ovvero lungo l'arco dell'intera breve vita: il poeta muore nel 1837.3 Come negli Essais di Montaigne i materiali si accumulano, nota dopo nota. Non è tanto importante sapere se Leopardi aveva una idea precisa dello scopo prima di iniziare ad affastellare materiali. L'importante per noi è rilevare un doppio procedere.

Da un lato Leopardi procede l'accumulazione: non cessa di prendere appunti, senza preoccuparsi della distanza abissale tra una nota e la successiva. Arriverà a scrivere 4526 pagine. Dobbiamo notare che non cessa perché ha raggiunto un qualche termine implicito in un iniziale progetto. Il progetto inteso come predefinito disegno, l'idea dell'opera già in mente, il vincolo che condiziona lo scrivere ad uno scopo, è del tutto assente. "Je n’ai jamais fait d’ouvrage, j’ai fait seulement des essais en comptant toujours préluder": ogni nota è un saggio, un assaggio di un tema, un preludere. Preludere: praeludere 'far prove', 'esercitarsi' per ludi, giochi futuri. Experiri: provare, sperimentare, ha un senso evidentemente contiguo.

Dall'altro l'autore stesso, Leopardi, si immerge quasi straniero nella sua stessa opera per cercarvi un ordine interno, un "sistema", "cioè la connessione e dipendenza delle idee"4. Il tentativo più compiuto, tra il 1826 e il 1827, si traduce nella rilettura delle pagine già scritte, nel loro riordino, e nell'indicizzazione del testo attraverso un rigoroso sistema di voci e di numeri, redatto su apposite schede, oggi conservate presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. In particolare, contano sette pagine dove l'autore stesso, essendosi immerso nelle migliaia di pagine fino a quel momento scritte, ne emerge con un ordine possibile, una descrizione dei differenti percorsi tematici che in quel momento gli appaiono evidenti.

Baule di assaggi

Di fronte a questo impressionante accumulo di pagine che è lo Zibaldone, non possiamo che seguire Leopardi nel osservarlo con sconcerto. Nonostante i tentativi di ordinamento, il testo sfugge al controllo. 

Possiamo con lui meravigliarci per il disordine, e assieme per la varietà amplissima di temi. C'è qualche filologo che crede il testo sia frutto di una iniziale intenzione, di uno schema originariamente concepito.5 Propendo, come mi pare lo stesso Leopardi, nel supporre l'assenza di un disegno iniziale. Ma in ogni caso il disegno iniziale, se mai c'è stato, è contaminato da deviazioni, salti, e dal presentarsi, coll'avanzare della scrittura, di altri schemi e temi possibili.

Lo Zibaldone non è un'opera, è una serie di saggi, assaggi, è un baule dal quale estrarre opere

Lo Zibaldone, infatti, non è un'opera, è una serie di saggi, assaggi, è un baule dal quale estrarre opere, un generatore di opere. Dopo la morte del poeta, nel 1837, l'accumulo di carte resterà in un baule. Solo alla fine del secolo si penserà alla sua pubblicazione. Ma ogni testo leopardiano che appare finito è un sottoprodotto dello Zibaldone. Lo Zibaldone è una cornucopia: sovrabbondante fonte di testi possibili. Ogni progetto è un sottoprodotto di un metaprogetto,

E del resto, nessun testo che un autore sta scrivendo, nessun progetto in corso sarà mai ‘cosa ben sistemata’. Nessun lavoro di scrittura, e nessun progetto, a ben guardare, si conclude perché il lavoro è 'finito'. Sarebbe ancora possibile un ulteriore affinamento, una ulteriore limatura, sarebbero ancora necessari aggiunte o correzioni o tagli. Ci sarebbe sempre ancora molto da fare. Si dichiara 'terminato' un progetto, in fondo, solo per motivi contingenti: l'editore deve mandare in stampa, il cliente chiede ciò che ha commissionato.

L'autore, come chiunque, nel proprio lavoro, sia costretto a decidere, fa a quel punto violenza su se stesso, rilasciando il frutto del lavoro - nonostante l'acuta percezione della sua incompletezza, della sua imperfezione. Tranquillizzato, forse, dal fatto che i difetti sono scesi sotto una tollerabile soglia.

ogni progetto è uno zibaldone

Credo sia esperienza comune di ogni artista, scrittore, manager o project manager: ogni progetto è uno zibaldone. Accumulo, stratificazione, struttura sempre in fieri, ordine tentato e ritentato, continuamente ridefinito.

Si può quindi anche sostenere che l'importanza di un qualsiasi progetto non è necessariamente legata al suo scopo. Il progetto resta significativo anche se fallisce, ovvero se lo scopo inizialmente definito non è raggiunto. Anche se non pubblicherò mai questo testo, ho fruttuosamente accumulato semilavorati, innovazioni di processo, esperienze, conoscenze.

Potremmo anzi dire che ogni progetto di scrittura, artistico, di lavoro, è la conseguenza dell'esistenza di uno zibaldone.

Leopardi potrà scrivere diversi testi di cui ora non ha nemmeno la visione, perché potrà attingere al suo zibaldone. E come lui, speriamo, ognuno di noi.

Sintesi

Potremmo quindi dire che è importante attitudine di ogni artista, di ogni scrittore, di ogni persona impegnata in attività di progetto - ed in genere: ogni persona che lavora- il perseguire in ogni istante il tentativo di 'portare le cose accumulate a sistema, a sintesi'. In questo tentativo risiede il progetto. Ogni progetto richiede l'accumulo di cose. Ma il senso del progetto risiede nel continuo tentativo di scoprire nella massa di cose accumulate una forma implicita, una rete di connessioni.

Sistema: tardo latino systēma riprende pari pari il greco systēma, a sua volta dal verbo synistanai, raccolgo, combino, metto insieme, metto a posto. L’italiano sistemare spiega bene il senso, riportando alla più familiare quotidianità l’espressione tecnica. Il sistema è dunque ‘cosa ben sistemata’.

Systēma è in greco una parola composta. Il verbo histanai porta con sé il complessivo ed originario senso dello ‘stare’, espresso dalla radice indeuropea stā-. Ritroviamo il senso dello stare in varie manifestazioni in sanscrito, in greco e in latino, e poi nelle lingue moderne: dallo Stato, allo stare fermo, fino ai vari sensi dell’inglese stand: dallo ‘stare fermo' il senso si allarga alla ‘posizione’, al ‘posto’, alla ‘postura’, alla ‘fermata’, allo ‘scaffale’.

Syn deriva dalla radice indeuropea ksun-, che sta per ‘con’. Syn ci parla di ‘insieme a’, in compagnia di, ‘congiuntamente a’, ‘allo stesso modo’, ‘allo stesso tempo’.

Il sistema è dunque costituto da cose diverse stanno insieme, in un certo modo, allo stesso tempo.

Leopardi, come ogni project manager ed ogni persona impegnata in un progetto, non possiede a priori il sistema. Le cose non sono mai andate del tutto al posto giusto. I materiali dello Zibaldone potrebbero essere organizzati altrimenti, ed ogni verso di ogni composizione potrebbe essere variato, reso altrimenti, forse migliorato. Nessuno possiede già, nessuno ha ancora, nessuno avrà mai il sistema perfetto, sebbene lo cerchi in ogni istante per assaggi e preludi, prove ed errori.

Ciò che conta, nel progetto, non è lo stare. Ciò che conta è il syn - che ci parla del continuo tentativo di arrivare allo stare, allo 'stare insieme', al complesso, sistema. Continuo tentativo di arrivare: per giungere al sistema, si passa attraverso la sintesi. Syn títhemi: l'idea del colloco, metto, pongo -come se esistesse già una casella prevista per ogni cosa- è mutata in 'metto insieme', raccolgo, organizzo.

Il syn riscatta la fissità dello stare (histanai) -l'occupare solidamente il proprio posto, la collocazione in uno stand, scaffale- perché pone la sfida dell'insieme, del con: la relazione mette in discussione le facili certezza. Ugualmente, il syn riscatta la limitatezza del títhenai. Il mettere, il porre, il fare non escono dall'esecuzione del compito. La sintesi è invece un agire che va oltre: il tentativo di mettere insieme ci porta fuori dalla zona di conforto, nel deserto o nella selva oscura, dove niente può essere dato per scontato. Oltre la siepe del facile, su un terreno che esige ansiosa preoccupazione, senso di responsabilità, risolutezza, apertura .

Abbiamo visto infatti come Leopardi non si riconosce come autore di un'opera: edificio stabile, frutto del fare qualcosa in vista di uno scopo già definito. Si riconosce come autore del tentativo di raccogliere, organizzare, portare alla luce il senso implicito nei materiali che ha per lungo tempo, senza coglierne pienamente il senso, lavorato. Questo è progettare.

Fare - traduzione del greco poiesis- è realizzare opere.

Agire

Quando Leopardi dice: "je n’ai fait d’ouvrage, j’ai fait des essais", non ho mai fatto opere, ho fatto saggi -cioè: ho esperito, ho tentato, ho preluso- va oltre il senso del verbo fare.

Fare - traduzione del greco poiesis- è realizzare opere. Ma il fare saggi, il tentare assaggi, il compiere esperimenti, lo sporgersi con l'immaginazione oltre la siepe, è qualcosa di diverso. Ci sono progetti che restano totalmente inscritti nel terreno del fare: progetti come opere, dove come il vasaio fa sempre vasi eseguo progetti nuovi, ma simili a progetti già realizzati. Ogni progetto è una replica del precedente.

Ci sono altri progetti che esigono il proiettarsi -o, direbbe Heidegger: esigono l'accettare di sentirsi gettati- in "interminati spazi". Terreni di cui poco o nulla conosciamo, che possono disvelarsi a noi solo passo dopo passo, mentre sperimentiamo.

Questa è la vita activa di cui ci parla Hannah Arendt.6 Al posto del facere, l''arrivare a un punto fermo', l'agere', il 'condurre spingendo': traduzione del greco praxis. Di qui espressioni che ci parlano di comportamenti in prima apparenza contigui al fare, e invece radicalmente diversi: agire, azione, attore, attivo, agile.

Il senso sta nella radice indeuropea ag, da cui il sanscrito ajati, e appunto in greco e in latino ágo. Si conduce spingendo un gregge, un bue con l'aratro. E' un concetto che ci colloca in una situazione anteriore al guidare, al governare (l'arte del timoniere). L'agere significa andare avanti confrontandosi con le rugosità del terreno, superando resistenze. Un concetto ben diverso da quello espresso dal verbo latino petere: volare, un movimento nell'aria, privo di resistenze. Nell'agere c'è molta più fatica, la fatica dello scrivere, la fatica del progetto.

Possiamo intendere l'agere come 'sfondamento in avanti', quindi: processo. Ma non c'è, per l'uomo, processo, se non c'è precedente progetto. Non però -ora appare chiaro- progetto nel senso di previo piano, disegno, ma progetto nel senso di intenzione, cammino teso in avanti.

Progetto, anche, nel senso di saggio, come dice Leopardi: saggio deriva dal latino exigere, ex, in senso estrattivo, agere.

Exigere: tra i vari sensi del verbo latino: gettare, lanciare, condurre a termine, quindi: progettare. Da exigere, exagium: peso preso a riferimento, strumento con il quale provare, per esempio, il valore di una moneta. Ne viene un'idea di testo, e di progetto non come unicum, ma come serie di tentativi, prove ripetute: qualche prova andrà a buon fine.

Ed infatti, ai nostri occhi, qualche saggio, assaggio, tentativo di Leopardi, è andato a buon fine. A molti di noi - come a Louis de Sinner, filologo, ed al suo entusiasta allievo Lebreton- i Canti appaiono opere finite, ed anzi magari perfettamente rifinite. 7

Possiamo però sempre ritenere -anzi: credo ci convenga ritenere- che la qualità di questi testi discenda proprio dall'atteggiamento dell'autore, che dice: "ma carrière n’est pas allée plus loin" - non ho fatto altro che provare, tentare.

je n’ai fait d’ouvrage, j’ai fait des essais


Note

1Michel Eyquem de Montaigne, Essais, Abel Langelier, Paris, 1588; trad. it. 1634.

2"L’infinito", Nuovo Ricoglitore, Milano, dicembre 1825; poi in: Versi del conte Giacomo Leopardi, Stamperia delle Muse, Bologna, 1826; quindi: Giacomo Leopardi, Canti, Piatti, Firenze, 1831. (Poesia composta tra la primavera e l’autunno 1819).

3Giacomo Leopardi, Pensieri di varia filosofia e bella letteratura, Introduzione di Giosuè Carducci, Le Monnier, Firenze, 1898-1900 (7 voll.). Zibaldone di pensieri, a cura di Francesco Flora, Mondadori, Verona, 1937-1938 (2 voll.). Postumo.

4Giacomo Leopardi, Zibaldone, cit., 17 aprile 1821.

5Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri. Nuova edizione tematica condotta sugli Indici leopardiani, a cura di Fabiana Cacciapuoti, con un Preludio di Antonio Prete, Donzelli, Roma, 2014.

6Hannah Arendt, The Human Condition, University of Chicago Press, 1958. Vita activa oder Vom tätigen Leben, Kohlhammer, Stuttgart, 1960. Vita activa, traduzione di Sergio Finzi, Bompiani, Milano, 1964 (poi dall'ed. 1988: Vita activa: la condizione umana).

7Giacomo Leopardi, Canti, Saverio Starita, Napoli, 1835.

Pubblicato il 08 aprile 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

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