L’eredità di Bergoglio: l’uomo al centro, anche nell’era dell’Intelligenza Artificiale

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Se c’è una frase che mi ha folgorato negli ultimi anni, mentre cercavo di conciliare il mio amore per la tecnologia con la mia ossessione per un futuro più umano, è stata quella di Bergoglio al G7: “𝑳’𝒖𝒐𝒎𝒐 𝒏𝒐𝒏 𝒅𝒊𝒗𝒆𝒏𝒕𝒊 𝒄𝒊𝒃𝒐 𝒑𝒆𝒓 𝒂𝒍𝒈𝒐𝒓𝒊𝒕𝒎𝒊”. Oggi, mentre il mondo piange la sua scomparsa, voglio ricordarlo così: come il Papa dell’Innovazione, il primo Pontefice tech-aware che ha osato mettere in guardia i potenti sull’IA con la stessa urgenza con cui parlava di povertà e guerre.


Non è stato l’unico, però, a lanciare un monito profetico sul rapporto tra uomo e tecnologia. Ha seguito le orme di San Giovanni Paolo II, che già negli anni ’80 ammoniva: “L’uomo non usi la scienza contro la morale”. Bergoglio ha raccolto quella fiaccola e l’ha portata nel XXI secolo, trasformandola in un appello universale: L’IA deve servire l’uomo, non il contrario.

L’intelligenza artificiale è uno strumento affascinante e tremendo


L’allarme (profetico) di un Umanista

Era il 2024, e Francesco seduto tra Meloni e Macron, immaginate il contrasto estetico, scuoteva il vertice dei grandi con un discorso da brividi: “L’intelligenza artificiale è uno strumento affascinante e tremendo”. Parole che ho sentito risuonare nella mia missione di ingegnere convertito all’umanesimo digitale. Perché lui, il pastore della Chiesa più tradizionale del mondo, aveva capito prima di molti guru Silicon Valley che l’IA non è solo una questione di codici, ma di anima.

La sua paura più grande? Che l’algoritmo diventasse il nuovo dio, divorando la fragilità umana per trasformarla in dati. La sua speranza? Che restassimo “comunicatori”, non bytes. Lo ha ripetuto fino all’ultimo: “Solo toccando con mano la sofferenza si comprende l’assurdità della guerra”, un monito ai giornalisti (e a noi tutti) a non delegare alle macchine il diritto di raccontare il dolore.


Perché mi mancherà (e perché ci mancherà)

Bergoglio non era un esperto di machine learning, ma sapeva vedere oltre i trend. Mentre i politici discutevano di regolamentazioni, lui parlava di “ingiustizia tra nazioni avanzate e oppresse”, anticipando il rischio che l’IA esasperasse le disuguaglianze. Mentre i tech-bro sbandieravano il progresso, lui ricordava che “l’IA viene dal potenziale creativo donato da Dio”, ma può generare una “cultura dello scarto”.

Per me, che cerco ogni giorno di usare la tecnologia per democratizzare il sapere, le sue parole sono state come un testamento. Mi ha fatto sentire meno solo: c’era qualcuno, lassù, che urlava al mondo: Attenzione, non perdete l’umano di vista!.


E ora?

Oggi che non ci sarà più la sua voce a smascherare “l’illusione dell’onnipotenza algoritmica”, tocca a noi –, viluppatori, comunicatori, interpreti, raccogliere il suo messaggio. Perché Francesco non odiava l’IA: temeva che noi ci dimenticassimo di essere umani prima che utenti.

E allora, mentre i social si riempiono di omaggi, io scelgo di ricordarlo con un invito: usiamo l’intelligenza (artificiale e non) per costruire ponti, non muri. Per scrivere codice che unisce, notizie che commuovono, complessi”,  perché la comunicazione resti umana come lui avrebbe voluto.

Grazie, Papa Francesco. Anche dagli Umanisti Digitali.


📌 PS: Se volete rileggere il suo discorso al G7, qui c’è tutta la potenza di un pensiero che sembra scritto oggi. E no, non era un santo della tech, ma forse proprio per questo ci ha lasciato una bussola preziosa.

🌈 Condividi se anche tu credi che l’IA debba servire l’uomo, non il contrario.

(Articolo scritto con emozione, IA zero. Solo cuore e tasti.)

StultiferaBiblio

Pubblicato il 22 aprile 2025

Franco Bagaglia

Franco Bagaglia / Umanesimo Digitale. Specialista formazione e sviluppo AI e competenze digitali presso Acsi Associazione Di Cultura Sport E Tempo Libero

franco.bagaglia@libero.it