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Nel Rinascimento, gli umanisti condannarono il Medioevo come secoli bui, oscurati dall’ignoranza e dalla superstizione. L’Illuminismo sollevò la ragione come baluardo contro le tenebre della credulità. Oggi, immersi in una rete planetaria che promette accesso istantaneo all’informazione, celebriamo l’intelligenza artificiale come se fosse il coronamento di una lunga marcia verso la verità.

“Ma non v’è sapere che non contenga anche una forma di ignoranza.” - — P. Burke, Ignorance: A Global History


Nel Rinascimento, gli umanisti condannarono il Medioevo come secoli bui, oscurati dall’ignoranza e dalla superstizione. L’Illuminismo sollevò la ragione come baluardo contro le tenebre della credulità. Oggi, immersi in una rete planetaria che promette accesso istantaneo all’informazione, celebriamo l’intelligenza artificiale come se fosse il coronamento di una lunga marcia verso la verità.

Ma questo racconto — lineare, trionfale, autoassolutorio — è una costruzione ideologica. Il progresso non è una retta ascendente. È una spirale incerta, fatta di salti, cadute, dimenticanze, perdite. È un campo minato in cui il sapere si mescola all’ignoranza, la memoria si dissolve, e ciò che viene presentato come “nuovo” spesso non è che la ripetizione cieca dell’antico.

Le lingue scomparse, i riti soppressi, le conoscenze artigiane dissolte, le cosmologie indigene spazzate via dall’arroganza coloniale — tutto questo costituisce la contabilità nascosta del sapere moderno.

Peter Burke, storico acuto e anticonformista, lo ha mostrato con impietosa chiarezza: ogni società coltiva forme d’ignoranza tanto quanto produce conoscenza. Censura, negazione, disattenzione, soppressione: le vie dell’oblio sono numerose e pervasive. La modernità, mentre accumula dati, ha perso — forse per sempre — molte forme di sapere incarnato, situato, simbolico. Ogni epistemologia è anche una strategia di esclusione.

Ma oggi l’ignoranza prende una forma nuova. Una forma morbida, invisibile, subdola. Si presenta come desiderio di sicurezza, come intolleranza verso il dubbio, come rifiuto del limite. È una forma d’ignoranza generata dalla paura — paura del dolore, dell’incertezza, della morte.

Il filosofo camerunese Achille Mbembe, nella sua analisi della necropolitica, ha mostrato come il potere contemporaneo non si limiti a gestire la vita, ma selezioni le vite degne di essere vissute. La vulnerabilità umana, lungi dall’essere accolta, viene trattata come un difetto da eliminare. In un mondo ossessionato dalla produttività, dalla salute e dall’efficienza, il fragile è considerato inutile. E dunque, sacrificabile.

Allo stesso tempo, il pensatore peruviano Aníbal Quijano ha rivelato che ciò che chiamiamo “modernità” è inseparabile da un progetto di dominio epistemico: la colonialità del sapere. L’Occidente ha imposto una gerarchia tra culture e forme di conoscenza, disprezzando o cancellando i saperi indigeni, orali, locali. Il prezzo del progresso è stato l’omologazione.

Ma in questa fuga dalla sofferenza, abbiamo smarrito anche il pensiero.

Il pensiero, infatti, nasce dal limite. Dalla ferita. Dal dubbio che interrompe la routine. L’ossessione per la performance, la trasparenza, il controllo — tutto ciò che oggi chiamiamo “efficienza” — è nemico della conoscenza profonda. Perché la conoscenza, quella autentica, è sempre ambigua, errante, non garantita.

Sì, abbiamo fatto progressi. Ma che cosa abbiamo perso per ottenerli? Forse stiamo costruendo una civiltà che sa tutto… tranne ciò che conta. Una civiltà che ha abolito la fatica del pensare per sostituirla con l’addestramento algoritmico, che ha trasformato la domanda in ricerca Google, il dubbio in segnale d’allarme, l’errore in bug da correggere.

La verità è che non siamo mai usciti davvero dal Medioevo. Abbiamo solo sostituito i dogmi religiosi con altri dogmi: la tecnica, la velocità, la produttività, la datificazione del mondo. Ma continuiamo a essere ciechi su ciò che non possiamo misurare.

Ed è proprio lì, nell’invisibile, che abita il sapere più raro.

Accettare il limite non è un atto di resa. È un atto di resistenza. È la diserzione dalla pretesa di controllo totale. È il gesto di chi rifiuta il comfort delle certezze prefabbricate e sceglie di abitare la soglia. Perché la verità non sta né dentro né fuori: sta tra. Tra ciò che sappiamo e ciò che ignoriamo, tra ciò che ricordiamo e ciò che abbiamo dimenticato.

Forse, allora, la Stultifera Navis, la nave dei folli, siamo noi. Navi cariche di dispositivi intelligenti ma prive di carte nautiche per navigare l’umano. Eppure è proprio su questa nave, fragile e instabile, che si apre la possibilità di un’altra rotta: non quella dell’onniscienza, ma quella della consapevolezza.

La consapevolezza che sapere non significa dominare, ma esporsi.

Non accumulare, ma comprendere.

Non semplificare, ma restare nella complessità.


Bibliografia essenziale

  1. Peter Burke, Ignorance: A Global History, Yale University Press, 2023. Un’opera monumentale sul ruolo storico dell’ignoranza, che mostra come ogni sapere conviva con forme strutturali di oblio, censura e negazione.
  2. Achille Mbembe, Necropolitics, Duke University Press, 2019 (ed. orig. francese Politiques de l’inimitié, 2016). Una riflessione potente sul potere contemporaneo e sulla gestione della vita e della morte. Il fragile diventa escluso, la vulnerabilità un bersaglio.
  3. Aníbal Quijano, “Colonialidad del poder, eurocentrismo y América Latina”, in La colonialidad del saber: eurocentrismo y ciencias sociales, CLACSO, 2000. Un saggio fondamentale per comprendere come la modernità abbia imposto un ordine gerarchico dei saperi, cancellando quelli non occidentali.
  4. Umberto Galimberti, Psiche e Techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, 1999. Una riflessione profonda su come la tecnica abbia trasformato il nostro modo di pensare, sentire e conoscere, spezzando il legame tra sapere e senso.
  5. Michel Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, 1976. Testo fondativo per capire come ogni forma di conoscenza sia anche una strategia di potere e una costruzione politica del vero.

Pubblicato il 27 aprile 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / omnia mea mecum porto