Go down

Una riflessione sull’iniziativa della Stultiferanavis associata alla scelta di navigare vagabondando, con l’invito a tutti gli spiriti liberi di salire a bordo (“Via sulle navi […] c’è ancora un altro mondo da scoprire! […]” direbbe Nietzsche). L’invito è a salpare per lasciarsi indietro il paesaggio desolante a cui ci siamo assuefatti, per provare a ridare dignità a un intelletto sempre più ridotto al semplice computare, per mettersi alla prova in un viaggio non facile, in compagnia di altre presone in carne e ossa, sfidando onde e tempeste. Ci si imbarca, si sale a bordo, ci si mette in mare senza sentirsi obbligati a tornare, neppure se e quando si dovessero incontrare delle tempeste. Che senso avrebbe infatti pensare di tornare dopo che ormai si è partiti. Conta molto di più alzare lo sguardo e vagabondare sulle onde, con consapevolezza, determinazione e coraggio.


Il navigare, nel contesto delle mie narrazioni recenti, non può che riferirsi all’iniziativa della #STULTIFERANAVIS e all’imbarcarsi come gesto, non da soli ma insieme ad altri, tutti motivati dalla voglia di leggere le carte del presente allo scopo di scuoterlo, attraverso il pensiero, la filosofia e la letteratura, la poesia e la politica.

Chi sale a bordo sa di essere motivato da una scelta vitale, esistenziale, ma anche dall’inquietudine e dal malessere che caratterizzano la vita attuale, dal bisogno di mettersi alla ricerca di risposte.

La ricerca impone l’abbandono di pregiudizi e credenze acquisite, per decidersi ad andare, a navigare sul mare, e non a caso, perché sul mare non si cammina, si naviga solcando le acque anche senza avere porti sicuri a cui approdare. Chi sale a bordo solitamente ha già in mente la sua navigazione e le sue tappe, dei porti di arrivo e di approdo, per questo si deve essere dato un metodo, un progetto. E se tutto questo per chi salpa con la Stultiferanavis non fosse così importante? E se la strategia di navigazione fosse il semplice vagabondaggio?

Il vagabondare è una delle molteplici metafore a cui sto ricorrendo per raccontare un’iniziativa che, in tempi nei quali la filosofia (la lettura) viene data per morta e l’immaginazione (la scrittura) superata dalle IA generative, ha regalato a molti una “nave” con cui andar per mare, nel vasto mare della Rete. Un luogo di ritrovo e di incontro, dove si può continuare a praticare la filosofia e a esercitare l’immaginazione (la creatività) umana. Il vagabondare associato a questa iniziativa è un’esperienza esistenziale (un modo di essere nel mondo, di abitarlo senza radici), simbolica e culturale. 

In un’epoca dominata dall’aspirazione del tecno-potere al controllo, un controllo favorito dall’avanzamento e dalla pervasività delle tecnologie digitali, ma anche dalla forma mentis di moltitudini di persone che il controllo accettano servilmente e passivamente, la scelta (di vita) di mettersi per mare, di uscire al largo, di navigare, è espressione di una volontà di trasgressione. È una volontà sospesa tra ordine e cos, che si traduce nel prendere posizione, nel rifiutare la lettura omologata della realtà e delle sue crisi che arriva “dall’alto”, suggerita e veicolata da miriadi di narrazioni manipolatorie e mai neutrali. 

L’intenzione di chi sceglie di vagabondare per mare, da sempre simbolo di trasformazione e passaggio, è di provare a elaborare un pensiero altro, alternativo, capace di rompere il conformismo del pensiero stagnante vigente, finalizzato alla devianza e all’erranza, a deviare dalle logiche che governano oggi la società, a errare facendo del nomadismo centrifugo una via di fuga, un contrappunto enigmatico che mette in difficoltà i poteri e le narrazioni dominanti. Alla base del vagabondare, in questo caso per mare, c’è la scelta di contribuire all’elaborazione di pensiero critico, attraverso racconti e narrazioni legati al nomadismo, all’erranza, al vagabondaggio, in contesti simbolici e metaforici (il vagabondare irrequieto del pensiero, della psiche umana, perennemente girovaga, della scrittura, la ricerca esistenziale) ma dal profondo significato culturale, letterario, intellettuale, anche politico. 

Nel mondo attuale scegliere l’erranza e il vagabondaggio è un gesto di libertà, eroico perché espressione di un desiderio che non trova appagamento. È un modo per perdersi, svincolarsi, liberarsi dalle catene dello schermo, dei MiPiace, delle camere gratificanti dell’eco, del sempre uguale. È una forma di ribellione all’essersi ridotti a semplici utenti cooptati sulle piattaforme online come meri generatori di input, al servizio di algoritmi e macchine tra loro connesse, sempre più bulimiche e assillanti nelle loro richieste e pretese. Il vagabondare, che è poi un andare a zonzo, senza una destinazione precisa (michikusa), lasciandosi sorprendere dai tanti possibili che si incontrano sulla strada, è una forma di resistenza a chi ci vuole sempre in accelerazione su percorsi, traiettorie e destinazioni definiti da altri. 

Per citare la cultura giapponese: “trova il tempo di mangiare l’erba che cresce ai lati della strada” 

La scelta del vagabondare, del camminare o muoversi errabondo, è un modo desiderante di andarsene via, di prepararsi all’incanto dell’incognito che a volte si coniuga con l’inatteso (chi ha paura rinuncia all’incontro, mette la testa nella sabbia, si dà alla fuga), di immettersi su percorsi infiniti, senza fine, errabondi per definizione. La scelta si traduce nel tentativo di costruire il presente nel momento stesso in cui “si fa”. 

Questo camminare o navigare senza fine porta necessariamente fuori strada, a non fare affidamento ai tanti strumenti tecnologici che avendo mappato il territorio pretendono di mappare la vita. Andare fuori strada appare a chi si mette a vagabondare come una scelta possibile, il perdersi una delle possibilità, l’andare fuori strada un evento senza rischio reale. 

Vagabondare, anche per mare, è un modo per ciondolare (lo fanno anche le meduse, una delle innumerevoli forme del plancton che ci regalano l’ossigeno di cui abbiamo sempre bisogno), per (ri)cercare sentieri (rotte, itinerari), scorciatoie e tracciati alternativi, anche se poco o per niente conosciuti. Nel farlo ci si regala preziose esperienze, nuove possibilità e (momenti di) opportunità: di rallentare (slow down), di perdere tempo in modo costruttivo, di dare forma a nuove memorie e ricordi, di guardare il mondo in modo diverso. 

Vagabondando, nell’accezione data al vagabondare dalla Stultiferanavis, diventa possibile superare “la solitudine del viandante”, fare incontri imprevisti, creare nuovi legami che possono sfociare in amicizia. 

Diventa possibile esercitarsi in pratiche solidali e da buon samaritano (un modo per ricordare Papa Francesco), disobbedendo a norme e leggi scritte, ma anche a quelle assimilate dal senso comune pur se sbagliate. Infine, si può provare a nascondersi, per non farsi facilmente raggiungere, per sentirsi anarchicamente liber(at)i, per aprirsi varchi vissuti come via di fuga o semplicemente vie di uscita. 

Chi vuole salire a bordo? 

Io amo sperdermi per lunghi tratti - come in mare e nei boschi gli animali, rannicchiarmi in beate fantasie, - poi attirarmi a casa da lontano, - e sedurre me stesso – a ritrovarmi” (Il Solitario di Nietzsche)

 

StultiferaBiblio

Pubblicato il 28 aprile 2025

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – Co-fondatore di STULTIFERANAVIS

c.mazzucchelli@libero.it http://www.stultiferanavis.it