“Pensare equivale a dire di no. Il segno del sì coincide con le movenze di una persona che si sta addormentando. Al risveglio, invece, scuotiamo la testa e diciamo di no. Al mondo, al tiranno, al predicatore. […] è a sé stesso che il pensiero dice di no. Infrange il consenso spensierato. […] se il mondo mi inganna è perché io lo acconsento. È perché non chiedo altro. E il motivo per cui il tiranno mi opprime è che invece di metterlo in discussione gli porto rispetto”. Étienne Klein, Filosofica, Carocci editore, Roma 2020, pag. 25
“La comprensione intellettuale richiede di apprendere il testo e il contesto, l’essere e il suo ambiente. La comprensione umana richiede questa comprensione, ma anche e soprattutto di comprendere ciò che gli altri vivono […] di evitare la condanna perentoria, irrimediabile, come se noi stessi non avessimo mai conosciuto la debolezza né commesso errori […] di comprendere l’incomprensione. Per superare le incomprensioni, bisogna passare a una meta-struttura di pensiero complesso che comprenda le cause dell’incomprensione degli uni nei confronti degli altri. La comprensione rifiuta il rifiuto, esclude l’esclusione. Rinchiudere nella nozione di traditore, bugiardo, bastardo ciò che è di pertinenza di un’intelligibilità complessa impedisce di riconoscere l’errore, il fuorviamento, il delirio ideologico, le derive. Ci chiede di comprendere noi stessi, di riconoscere le nostre insufficienze, le nostre carenze, di sostituire la coscienza sufficiente con la coscienza della nostra insufficienza. Ci chiede, nel conflitto delle idee, di argomentare, di confutare, invece di scomunicare e di anatemizzare. Ci chiede di superare odio e disprezzo. Ci chiede di resistere al taglione, alla vendetta, alla punizione, che sono inscritti così profondamente nelle nostre menti. Ci chiede di resistere alla barbarie interiore e alla barbarie esteriore, specialmente durante i periodi di isteria collettiva.” - Edgar Morin, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione – Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, Pag. 55-56).
“Si può praticare il pensiero critico solo praticandolo” - Anonimo
La realtà piena di paradossi che abitiamo ripone la sua speranza attiva nella nostra capacità di pensare, di elaborare pensiero critico (critical thinking) e di ragionare, nel logos che ci riporta a Socrate e al suo metodo maieutico descritto da Platone nel Teeteto. Ci impone di coltivare la virtù dell’epistème[1] in opposizione alla doxa, di interrogarci, di investigare, di ricercare, in una parola di pensare, con l’obiettivo di dotarci degli strumenti utili a navigare la complessità dei tempi che viviamo, per poter affrontare le molteplici crisi del terzo millennio camminando sulle nostre gambe, in autonomia, leggerezza e serenità.
che fine ha fatto il pensiero nell'epoca cui ci affacciamo?
Pensare è l’obiettivo minino per affrontare “l’Alzheimer culturale collettivo[2]” che ha colpito milioni di persone, facendo loro dimenticare il passato e disimparare a immaginare futuri possibili, alternativi a un presente del quale sembrano essere sempre più inconsapevoli.
L’obiettivo finale è il pensare criticamente trasformato in pratica routinaria e allenamento continuo, in competenza di cittadinanza, usata per sviluppare il pensiero riflessivo, ragionevole, focalizzandolo sul decidere a cosa credere o cosa fare (R. H. Ennis) evitando facili ed errate associazioni. Il pensiero some strumento dell’essere umano, come soggetto di conoscenza, capace di instaurare, come scriveva Michel Foucault nel suo libro La storia della sessualità, il gioco del vero e del falso, “ciò che fonda l’accettazione o il rifiuto della regola” e ne determina l’agire. Il pensiero capace di “de-coincidere” con la maniera in cui si è “accordato con sé stesso e vi si tiene legato[3]”, unico modo per mantenere attivo il pensiero, sempre all’erta e mai inerte, aperto alla trasgressione senza temere le critiche. Il pensiero capace di disubbidire, di non conformarsi, anche nel pensare alla prassi, non adeguandosi a regole date, ma coltivando l’abilità di pensarne di nuove, di immaginare lo strappo alla regola, la frattura, la dissidenza nei confronti delle coerenze stabilite e da molti passivamente seguite.
In un epoca che testimonia la fine del pensiero, bisogna ritornare a pensare, a farlo criticamente
Senza pensiero critico finiamo per credere ciecamente a tutto ciò che ci viene raccontato, ci convinciamo che la tecnologia ci offra in continuazione novità e innovazioni anche se in realtà non è così, in particolare quando l’innovazione non comporta un reale cambiamento. Sena esercitare il pensiero critico diventiamo complici della standardizzazione del pensiero in atto, che trae vantaggio dalla nostra pigrizia mentale, dal nostro preferire informazioni a conoscenze, dall’usare un linguaggio fatto di brevi pensieri e slogan a uno articolato e complesso. Sull’onda musicale del Bolero di Ravel, usato come colonna sonora nel film di animazione cult di Bruno Bozzetto, Allegro ma non troppo, siamo tutti incamminati in un viaggio evolutivo e compulsivo che ha come destinazione finale l’onlife del Metaverso, un mondo di alienazione dalla realtà fattuale. Continuiamo la nostra corsa senza alcuna consapevolezza, incapaci di imparare dagli errori del passato e di formulare una critica del tempo presente, delle sue palesi contraddizioni. E felicemente cadiamo!
La critica va di pari passo con la conoscenza. In loro assenza non ci può essere futuro, libertà o democrazia, neppure benessere psichico e biologico. Si continua a vivere un presentismo malato fatto di cancellazione del passato e di regressione culturale, a credere alle mirabilia della disruption e delle rivoluzioni digitali, a non coltivare gli strumenti che possano aiutare a decontestualizzare il presente con l’obiettivo di trovare ciò che serve per strategizzare[4] il futuro. Bisognerebbe al contrario cercare di evitare di farsi “adattare”, mantenendo salde le capacità cognitive e intellettuali che servono per resistere alle narrazioni conformistiche del mondo, trasformatesi ormai in vere e proprie gabbie mentali dalle quali è complicato fuggire. Per arginare queste narrazioni dovremmo ricorrere al pensiero libero e critico, ma dove sta, dove andrebbe cercato e come lo si può ancora coltivare se persino gli intellettuali hanno smesso di pensare criticamente?
"la disfatta del pensiero razionale non sembra essere affatto totale e irrevocabile"
Stanchi di subire il conformismo che avanza, invitandoci tutti ad accettarlo con saltelli di gioia e nessuno scetticismo, non ci rimane che trovare strumenti adeguati a leggere in modo critico la realtà, a smontare l’illusione dell’informazione che ci fa credere di essere consapevoli di ciò che leggiamo o ascoltiamo, per poi apprendere, riflettere, capire, dubitare, distinguere, articolare e agire, che è poi alla base di ogni prassi sapienziale di cui dovremmo (re)impossessarci. Le informazioni non bastano, le narrazioni neppure, se non ci aiutano a dare un senso alle cose e non ci spingono a confrontarci con il pensiero complesso. Meno ancora servono programmi televisivi che hanno trasformato il linguaggio in una sequenza di suoni inascoltabili e incomprensibili, inframmezzati da spot pubblicitari e commerciali che sembrano delle prese in giro (come le pubblicità che fanno green washing). Dobbiamo toglierci gli occhiali da sole con cui siamo soliti guardare alla realtà, per adottare un pensiero critico di stampo umanistico, capace di farci abbandonare la rigidità cognitiva del nostro pensare come macchine e di farci uscire dai quadri mentali con cui interpretiamo il mondo per adottarne di nuovi e di diversi. Bisogna coltivare flessibilità mentale, creatività intellettuale e fantasia, continuare ad alimentare l’immaginazione e la propensione al discernimento, anche attraverso la scelta degli strumenti idonei per farlo.
Strumenti fondamentali per pensare e agire criticamente sono i libri di autori che nel passato, in epoche diverse dalla nostra, si sono interrogati su come e cosa fare per dare un contributo di riflessione sulla loro epoca e che oggi sembrano riemergere come profeti inascoltati. Utili sono anche i libri di autori contemporanei che a questa riflessione stanno dedicando molto del loro lavoro di stydiosi e di intellettuali. Autori di riferimento sono, per citarne alcuni, Giordano Bruno, Jacques Ellul, Mark Fisher, Naomi Klein, Ivan Illich, Günther Anders, Emanuele Severino, Umberto Galimberti, Herbert Marcuse, il collettivo Ippolita, Byung-Chul Han, Gert Lovink, Miguel Benasayag, Theodor Adorno e Max Horkeimer, Douglas Rushkoff, Jaron Lanier, e molti altri (vedi bibliografia di questo libro o la biblioteca tecnologica di www.solotablet.it che contiene quasi mille riferimenti). La lezione principale di questi autori è la necessità di vivere in modo lungimirante, prestando attenzione e “orecchio” alle trasformazioni emergenti in corso, di contribuire con la propria azione a favorire l’emergere di alcune tendenze rispetto ad altre, senza attendere e prima che alcune tendenze finiscano per radicarsi, producendo effetti nefasti o controproducenti. La lezione è rivolta a tutti ma solo pochi sono oggi in grado di coglierla in tutta la sua importanza, sicuramente lo sono coloro che non hanno smesso di leggere, di apprendere e approfondire, curiosi e assetati di nuove conoscenze delle quali sentono il bisogno, per disporre della conoscenza che serve per agire sulla realtà, cambiandola.
Impegnarsi contro ogni forma di automazione progressiva dell'attività cognitiva, la sostituzione di processi di pensiero e di scelta critica (Franco Berardi)
In mancanza di strumenti personali utili a pensare criticamente si può coltivare il dialogo con un maestro (evitare influencer e guru online, pochi di loro sono maestri) dal quale apprendere come argomentare in modo corretto con un adeguato linguaggio e vocabolario, a individuare euristiche, errori e illusioni cognitive, come quelle che portano a preferire un guadagno a una perdita, Un maestro dal quale riconoscere i limiti determinati dai bias di conferma che portano le persone ad accettare in modo acritico dati e informazioni solo perché confermano le loro convinzioni, dal quale imparare a far emergere in modo chiaro il proprio punto di vista, per decostruirlo e falsificarlo, in modo da determinare quanto la propria verità sia sostenibile o sia semplicemente una opinione come le altre.
Pensare è difficile, a molti oggi il pensiero di dover pensare fa venire il mal di testa. I percorsi accidentati, irti di agguati, scorciatoie e di vicoli ciechi, su cui il pensiero può condurre, causano emicrania e richiedono coraggio, per passare a livelli superiori di astrazione e usare il pensiero in modalità critica o anche semplicemente per formulare pensieri diversi, solitamente più difficili da elaborare. Imparare a pensare è ancora più difficoltoso, in particolare dentro contesti che cambiano in continuazione modificando i nostri comportamenti e modi di pensare. Per citare Stanislas Dehaene la difficoltà nasce dal bisogno di attenzione, oggi sequestrata dagli schermi che usiamo e dalla FOMO (Fear Of Missing Out), dall’urgenza di impegno attivo basato sulla formulazione di ipotesi e sulla curiosità. Si procede apprendendo dai segnali di errore e di sorpresa e consolidando quanto appreso in saperi e conoscenza. Le informazioni sono volatili e oggi conservate in una miriade di dati sul Cloud, le conoscenze acquisite dal nostro cervello sono memorizzate nella memoria di lungo termine, sempre pronte per essere riutilizzate e incrementate, necessarie per ogni pensiero critico e futuri nuovi apprendimenti.
la nostra conoscenza non può essere ridotta a una dimensione operazionale, puramente numerica
Pensare autonomamente è più affaticante di quanto non sia pensare con la testa altrui. Lo è di più se, a una testa piena di informazioni, preferiamo una testa ben fatta che delle informazioni voglia cogliere porzioni di realtà, le relazioni degli elementi ed eventi che la compongono, usandone i contenuti di conoscenza per ampliare sapere e conoscenza. Una testa capace di coltivare una mente competente, capace di imparare a imparare, addestrata alla cultura e alla lettura, generativa nel linguaggio e abile nel costruire mondi. Nella pratica quotidiana, indotta dalle tecnologie che usiamo, imitare l’altro, farsi sorreggere (MiPiace), emularlo è diventata prassi comune, sintomatica di una pigrizia mentale e morale diffusa, che non favorisce la riflessione critica, il confronto, la creatività, la contrapposizione dialogica e il conflitto dialettico.
Ne è testimonianza il prevalere online delle cosiddette camere dell’eco nelle quali molti si adagiano rilassati e contenti delle informazioni ricevute, felici di condividerle con altre persone che quelle camere abitano con loro, rinunciando a ricercare informazioni e conoscenze più complesse per crescere cognitivamente e criticamente, rimanendo lontani dalle voci divergenti che potrebbero disturbare la convergenza al ribasso in atto. Pigrizia è anche quella che ci tiene lontani dai libri (compagni validi e socievoli “che parlano teco e ti consigliano”) e dalla lettura, che ci ha resi conformisti e omologati, ”meno inquieti e ribelli”, senza strumenti per esercitare lo spirito critico, motore di ogni vero progredire, verso altrovi immaginari, alla ricerca di un fuori di noi indeterminato ma inconsciamente sempre desiderato, un “centro di gravità permanente” intellettuale, esistenziale ed emotivo sempre difficile da trovare. Difficile perché esperito dentro un mondo sempre più insostenibile, chiuso nella sua immobile attesa del peggio. Un mondo che sarà difficile affrontare per persone la cui capacità cognitiva e critica è stata “piallata” da una eccessiva esposizione agli schermi televisivi (numerose sono le ricerche che testimoniano questa involuzione nelle nuove generazioni) e a quelli tecnologici.
per coltivare il pensiero critico ci servono nuovi strumenti concettuali, nuove mappe cognitive
Il pensiero critico implica il saper pensare. Esercitare il pensiero critico (dal greco κρίνειν da cui deriva anche la parola crisi) implica il saper separare, dividere, per poi fare delle scelte, giudicare, oggi anche valutare attentamente la crisi della critica, in un periodo di crisi dominato da dogmatismi, conformismi e pensieri unici e omologati vari. Pensare criticamente è un modo per definire il proprio posizionamento nella società ipertecnologica e iperconsumista attuale, mostrandosi critici nei confronti dei molti discorsi che vengono fatti per nascondere i suoi effetti sull’esistenza di milioni di persone la cui vita viene strutturata nel profondo, spesso con la complicità e l’assenza di responsabilità individuale di molti. Occorrerebbero scelte e decisioni critiche, invece ci accontentiamo delle micro-decisioni che pratichiamo su piattaforme social che in realtà non ci permettono di scegliere o decidere alcunché, tanto è asimmetrico il rapporto che ci lega agli algoritmi che le fanno funzionare. In cambio di piccole gratificazioni cediamo gratuitamente la nostra identità e la nostra libertà di scelta.
L’esercizio del pensiero critico deve insegnato ai giovani, oggi i più esposti verso una omologazione strisciante e subdola che mira a trasformarli in individui atomizzati e automatizzati, per questo più facilmente indirizzabili e controllabili. Pensare[5] è una pratica umana, umanistica, legata al libero pensiero, nasce dallo stupore di fronte alle cose della vita, alla vita in sé e ai suoi misteri da cui derivano mille domande e altrettanti dubbi esistenziali. Le une e gli altri servono a esercitare in modo aperto, libero e senza barriere, il pensiero, per interpretare di volta in volta il vissuto e il pensato, prima di orientare l’argomentare, le scelte, le decisioni e l’agire. Il pensiero, ha scritto Ermanno Bencivenga “non è un dato che a un tratto compare nella nostra coscienza, o un accumulo di dati del genere: è un percorso da un dato all’altro, un collegamento che stabiliamo tra dati e che dobbiamo avere il tempo e l’agio per stabilire[6]”. Stabilire significa analizzare, disintegrare, fare a pezzi, “sottoporre a continue revisione mercè la tecnica di addurre ragioni pro o contro[7]”, decostruire per poi reintegrare, riunire, costruire. Una prassi sapienziale che coniuga la capacità di dividere e (ri)comporre, di saper distinguere e articolare, trovare le differenze così come le cose che uniscono.
pensare criticamente oggi è dissentire, esprimere la volontà di autonomia e di indipendenza di giudizio, esprimere la capacità di visioni alternative
Nel passato ne ha dato una testimonianza fondamentale, anche se dimenticata, l’umanista Lorenzo Valla quando nel 1440, con il suo testo La fasa donazione di Costantino (De falso credita ed ementita Constantini Donatione), confutò una delle maggiori rivendicazioni della Chiesa del tempo: la concessione al papa e ai suoi successori di tutti i territori occidentali dell’Europa. Lo fece senza paura e a testa alta, con impertinenza e dotta conoscenza, coraggio da libero pensatore, abilità retorica, filologica (Valla fu in grado di dimostrare che il linguaggio latino della Donazione di Costantino non poteva corrispondere al linguaggio del IV secolo) e tanta erudizione (sapere diverso da essere informato) da fornire ancora oggi un esempio per tutti coloro che ancora non hanno rinunciato a esercitare il ragionamento del libero pensiero, la critica, la curiosità e la capacità di indagine.
Si pensa con la mente, si pensa con il cuore, si diventa ciò che si sente e si desidera con il cuore, ciò che si pensa con la mente, poi però conta il saper decidere, contano le scelte che si fanno. Una di queste scelte impone il rifiuto di visioni del mondo dalle possibilità limitate, legate alla logica dell’utile e del successo facile immediato. Suggerisce l’esercizio costante di un pensiero critico, capace di guardare, interrogare, capire e imparare. Un pensiero critico che è utile per riflettere e per parlare, per opporsi al veleno della stupidità, per meditare in silenzio e ricordare, per trovare le parole giuste che servono a dialogare, argomentare e convincere, per aprirsi alle ragioni dell’altro e a nuove idee con cui alimentare e coltivare il pensiero. Questo lavoro critico è tanto più importante quanto maggiore è la tendenza odierna a metterlo in discussione come una pratica desueta, superata. Come tale da evitare o delegare ad altri, qualcun altro o qualcos’altro (piattaforme, IA, assistenti personali, iWatch, ecc.) che penserà, ragionerà e sceglierà per noi.
Per molti studiosi la sparizione del pensiero critico è un’evidenza delle mutazioni antropologiche profonde e inedite in atto, forse è la crisi più grave perché ci priva della capacità di discriminare e distinguere il vero dal falso, il prodotto utile da quello inutile e superfluo, la relazione sociale da quella social, una persona in carne e ossa dal suo profilo o doppio digitale, una parola dall’altra per i significati diversi che esse veicolano, modelli o visioni che vengono proposti da altri rispetto a quelli valutati in libertà e autonomia come più vantaggiosi o più degni di essere perseguiti.
In un’era nella quale ci ritroviamo con una fantasia asfittica e abbiamo con successo esternalizzato buona parte del ragionamento umano a macchine logiche e computazionali, affidandoci al loro funzionamento e ai loro risultati, nessuna esternalizzazione si è resa possibile per il pensiero critico. Neppure la ChatGPT sembra averne data testimonianza tale da meritare le prime pagine di un quotidiano. Mentre la delega alla macchina ci ha resi inetti in molti ambiti funzionali, il pensiero critico può diventare lo strumento utile a risalire la china, a riprendere in mano le redini dell’evoluzione umana sviluppando consapevolezza, prendendo coscienza di ciò di cui abbiamo bisogno. Tra i bisogni impellenti nella crisi in corso c’è anche quello di pensare e di farlo criticamente. La consapevolezza è la chiave di volta. La sua assenza racconta molto bene la tendenza diffusa attuale a rinunciare al pensiero critico quando non si è costretti a usarlo, la mancanza di un suo desiderio. Il suo esercizio faciliterebbe il ricorso alla pratica del ragionamento e del pensiero, servirebbe a fare luce dentro al linguaggio quotidiano e al surplus informativo, a recuperare la capacità di comprendere l’esistente, proteggendoci da informazioni inutili e false e permettendoci di uscire fuori dallo stato confusionale e catatonico in cui ci troviamo.
il pensare criticamente non è relegato alla mente, emerge prepotentemente dal sentire, dal vissuto personale, dall'insoddisfazione, dalle passioni e dalle emozioni
La capacità di ragionare, riflettere e pensare criticamente, dentro il frastuono rumoroso delle tecnologie che la avversano, è propedeutica a ogni pratica umanista per resistere ai metaversi prossimi venturi, per disporre di strumenti utili a contrastare l’efficienza di macchine, cosiddette intelligenti, nel loro avere reso meno necessario apprendere, pensare, esercitare il logos e riflettere criticamente. Tutti possono pensare, elaborare pensieri da tradurre in concetti e parole, ma quanti sanno pensare criticamente, riflettere sulle cose, porsi delle domande, muoversi per falsificazioni, tentativi ed errori (vagabondando tra tesi opposte e contraddittorie), investire sulla forza propulsiva del dubbio, respirare prima di parlare, dare un senso alle parole e poi usarle dialogando, esponendosi alla confutazione e all’opinione diversa, sforzandosi di capire l’interlocutore peri poi ricominciare tutto da capo, ponendosi altre domande?
La domanda non è capziosa, va al cuore di un problema reale, il declino del logos, la sparizione del pensiero critico che si accompagna con la scomparsa del dubbio e dello stupore che sempre accompagnano la scoperta di nuova conoscenza. Mai come oggi l’autonomia di pensiero, il pensare, il connettere e il ricercare da sé, senza affidarsi a motori di ricerca o intelligenze artificiali come ChatGPT, il confrontarsi e offrirsi al confronto con l’Altro è diventato essenziale per trovare le risposte alle molte domande che esistenzialmente ci poniamo. Pensare non è sufficiente, bisogna anche dare contenuti adeguati al nostro pensare, sempre frutto del sentire, del (ap)percepire e del concepire personali, in modo da fare chiarezza, rifiutare lo sguardo superficiale, andare in profondità, liberare l’immaginazione e la creatività. Sul pensare ha scritto pagine illuminanti Vito Mancuso nel suo libro Il bisogno di pensare.
Il pensiero critico serve a navigare il caos, a gestire ansia, angoscia e disperazione, a cercare e a trovare ve di fuga
Da sempre l’uomo è impegnato a trovare un senso alla vita e un equilibrio, a capire ciò che succede dentro e fuori da sé stesso, a cercare spiegazioni, a “togliere le pieghe” a pensieri e sentimenti in modo da renderli comprensibili, spiegabili a sé stessi. La ricerca è estenuante, non finisce mai, ci accompagna anche dentro realtà virtuali nelle quali ci rifugiamo nella speranza di trovare pace, serenità e rilassatezza. Impegnati a mettere a tacere la lotta interiore che sempre ci accompagna, non comprendiamo che essa, al contrario, andrebbe abbracciata e rivalutata come elemento vitale, utile a mettersi in discussione nel cammino senza fine che serve alla costruzione del sé. Piegati all’urgenza del fare, spensieratamente e narcisisticamente impegnati nel vederci funzionare, abbiamo dimenticato di pensare, reprimiamo il pensiero critico per stare al passo con il pensiero conformistico di turno, omologandoci alle spiegazioni di altri. Ci si ritrova così a non pensare ma a (re)agire, a subire e a servire, spesso incapaci di ascoltare gli altri e i contenuti che il loro pensiero veicola, i significati polisemici che le parole comunicano.
La difficoltà o assenza di ascolto rende difficili, in alcuni casi, la conversazione e il dialogo sempre fonti di apprendimento e relazione, impedisce di cogliere le verità di ciò che viene detto, di coglierne le menzogne e le bugie, di capire il proprio interlocutore predisponendosi a chiedersi il valore delle sue tesi e delle sue parole. Esattamente quello che succede oggi online, dentro metaversi nei quali prevale il brusio di fondo delle interazioni continue, caratterizzate spesso dalla troppa informazione e dalla disinformazione, dalla inumanità del linguaggio, dalla violenza dei pensieri e dei sentimenti con essi espressi. La conversazione superficiale e veloce online ci conduce e domina la scena, non coinvolge gli interlocutori fino a perdersi, difficilmente conduce a una reale comprensione, senza di essa anche l’ascolto si spezza.
Vivendo ormai molto tempo della nostra esistenza dentro realtà virtuali viene meno il sentire da cui provengono le sensazioni messe in movimento dai cinque sensi. Viene a mancare il contatto fisico e tattile con gli oggetti e la realtà, con l’ambiente che spesso è origine attiva delle sensazioni stesse e del nostro pensiero. Viene meno anche il percepire che è un sentire consapevole, “vestito” lo descrive il teologo Vito Mancuso, frutto di maggiore elaborazione e comprensione (descritta come appercezione) soggettive. In difficoltà è anche il concepire, l’esercizio dell’intelligenza. Un’intelligenza umana che, a differenza di quella artificiale, nasce dal nostro saper spiegare le nostre esperienze umane in quanto umane, elaborando concetti che ci aiutano a collegare la nostra mente con la realtà (dati sensibili, non bit), esercitando il pensiero critico e quello pratico/pragmatico finalizzato all’agire, secondo canoni etici che la coscienza ha deciso di seguire.
Le situazioni, gli eventi invitano a pensare criticamente, a non arrendersi al conformismo dominante, all'omologazione dell'uguale e alla disintegrazione dei valori civili
Nel suo libro del 2022 Le non cose, Byung-Chul Han scrive che oggi, nella nostra era digitale “non sono gli oggetti, bensì le informazioni a predisporre il mondo in cui viviamo. Non abitiamo più la terra e il cielo, bensì Google Earth e il cloud[8]”. Una realtà fatta di bit, di innumerevoli dati e di tanta informazione, ammesso che siano validi e veritieri, sembrerebbe facilitarci il pensare, rendere possibili deduzioni utili ad ampliare le nostre conoscenze, a scoprire ciò che non era ancora stato scoperto, a fare delle scelte finalizzate a decisioni strategiche, a distinguere criticamente tra i vari elementi di ogni situazione o evento, per poi combinarli in modi diversi per costruire nuovi scenari futuri, diversi da quelli inevitabili di cui sono piene le tecno-narrazioni correnti. Disporre di tante informazioni non è però sufficiente per elaborare una propria visione del mondo destinata a cambiarlo. Se fosse così anche un automa potrebbe farlo, dopo essere stato opportunamente programmato, dotato dei dati necessari e della potenza di calcolo per poterlo fare.
A fare la differenza è la creatività del pensiero umano, la sua capacità di astrazione dal reale e al tempo stesso abilità combinatoria dei tanti elementi reali, probabili e possibili che caratterizzano l’esistente. Quanto più i dati e le informazioni saranno accurati, tanto più il processo creativo sarà facilitato. A fare la differenza sarà sempre il nostro sguardo umano cosciente sul mondo, la capacità individuale di esercitare il pensiero, la logica umana su cui si regge, compresa quella emotiva, il modo con cui su interagisce e si usano il corpo, le emozioni, il linguaggio. Fanno la differenza anche i pensieri lenti, riflessivi e impegnativi di cui il nostro cervello si dimostra capace, mai molto amati dalle macchine binarie e automatizzate la cui preferenza va alla velocità dei pensieri veloci e del calcolo numerico. Poi ci sono le emozioni, la cui importanza nell’elaborazione di giudizi e scelte è oggi da tutti accettata, a che le macchine continuano a non poter sfruttare.
La creatività non nasce per caso, va esercitata e allenata. Solo cercando si trova e ci crea, solo formulando domande si trovano possibili risposte. Non basta disporre di capacità logica o di intuito. Bisogna predisporsi mentalmente alla condizione utile a far emergere nuove idee, meglio se creative, a stimolare continuamente il nostro cervello, obbligandolo a rallentare e a riflettere. Bisogna trovare il proprio metodo o semplicemente il tempo per lasciar vagare la mente in libertà, libera da condizionamenti cognitivi e tecnologici che catturano l’attenzione e impediscono la concentrazione. Una mente libera ha bisogno di un corpo, di un cervello che si è preso cura del suo apparato motorio, fondamentale in primo luogo per il linguaggio. Un cervello che è maturato attraverso esperienze tattili e interazioni dirette, capace di prestare attenzione ai segnali somatici che arrivano dal corpo, proprio e altrui. L’attenzione è oggi in balia di eventi mediali e informativi, di schermi e di notifiche, imprigionata dentro barriere fatte di bit ma non per questo meno resistenti di quelle di una cella. Più delle barriere pesano la temporalità dell’immediatezza, la binarietà, il presentismo che caratterizzano un contesto fatto di continue gratificazioni, di corti circuiti continui tra bisogni e desideri, spesso indotti, e loro soddisfazione.
Segui l'esempio di Spinoza, pensa liberamente e criticamente, in profondità, esprimi sempre le tue idee, anche se diverse da quelle dominanti, opera filosoficamente su qualsiasi cosa
Il bisogno di continue gratificazioni descrive bene l’infantilismo nel quale siamo caduti, conseguenza di pratiche tecnologiche diventate antropologiche che ci hanno educato a ottenere risposte immediate, senza ritardi. Un bambino o una bambina si comportano così: se chiedono un dolcetto lo vogliono subito e non sono disponibili ad ascoltare argomenti finalizzati a convincerli dell’attesa e del rinvio, di quanto sia importante imparare a dilatare nel tempo la soddisfazione di un bisogno o di un desiderio. Chi è in grado di rinviare, procrastinare e posticipare, di aspettare dovrebbe essere la persona adulta. Oggi anche l’adulto, per pigrizia, per ignavia, per mancanza o debolezza di volontà (ἀκρασία – l’akrasia[9] greca), ha smesso di aspettare, si adegua alle abitudini e ai comportamenti dei più, rinuncia a esercitare la sua razionalità, evita l’esercizio del pensiero riflessivo e critico delegandolo alle macchine che usa e frequenta. Così facendo rinuncia al suo ruolo di educatore, adottando comportamenti lassisti e irresponsabili, assegnando al dispositivo tecnologico il ruolo di baby-sitting.
La ricerca di risposte immediate non è solo legata alla nostra frequentazione dei mondi virtuali della Rete. Si manifesta nei media tradizionali, con talk show sempre più orientati al linguaggio breve e ad effetto, allo slogan capace di scatenare un applauso e migliaia di MiPiace sui social, nella politica con un dibattito sempre più orientato alla pancia delle persone piuttosto che alla loro testa. Un modo per cercare di favorire le audience a cui ci si rivolge, evitando furbescamente di fornire argomentazioni che potrebbero scatenare interrogativi, dubbi, riflessioni e possibili disaffezioni e abbandoni. Scaricando sugli ascoltatori la responsabilità dell’istupidimento di massa a cui tutti stiamo assistendo si pratica la fuga dalla responsabilità. Per contrastate istupidimento e massificazione, soggezione ai media e apatia, ogni individuo è chiamato a esercitare la sua capacità di usare il pensiero, di riflettere e fare delle scelte, a coltivare la cultura nella quale (con)vivere dotandosi delle risorse che possono servire a scegliere come vivere, a determinare i ritmi e i tempi da adottare, contrastando quanti lavorano con strumenti potenti e con finalità di controllo ad alimentare lassismo, pigrizia, stupidità e delega.
Scegliere di reagire o di resistere non è facile, bisogna attrezzarsi e sottoporsi a un addestramento continuo nel farlo. L’addestramento non è legato a informazioni, non è dottrinale, non ha bisogno di lezioni teoriche. Si diventa coraggiosi praticando atti di coraggio, generosi praticando atti di generosità, logici praticando atti logici. Si reagisce imparando a resistere alle proprie abitudini e passioni, osservando i fenomeni e gli eventi nei quali (ci) siamo coinvolti per immaginarne vincoli e opportunità, imparando dai propri errori e a riprovando in modo paziente e tenace dopo essersi familiarizzati con le mosse che servono per continuare il percorso.
A questo approccio proattivo, fatto di coraggio e generosità, si richiama la pratica del pensare criticamente che ho associato al Nostroverso, qui proposto come spazio utopistico futuro da costruire. Questa pratica viene prima di tutte le altre. Non ci si può incamminare su un percorso verso il Nostroverso senza avere in primo luogo sviluppato la capacità e la vigile attenzione critica, la volontà di mettere in discussione il presente e le sue narrazioni. Non lo si può fare senza avere adottato prassi utili per vivere criticamente il Nostroverso e senza avere scavato in modo meticoloso il presente relativistico della postmodernità, nel quale le opinioni si sono sostituite alle verità e ai fatti. Lo si può fare solo dopo aver imparato a resistere all’unidimensionalità alla base di una globalizzazione che è ideologica prima ancora che economica e di mercato.
Pensa criticamente, de-sincronizza il tuo pensiero e la tua coscienza, abbandona le nuove tecnoreligioni e le loro mitologie artificiali
Incamminarsi su un percorso critico, sempre mediato dai contesti materiali, culturali e sociali nel quale si sviluppa, oggi anche ibridato tecnologicamente e in compagnia di cyborg postumani, significa prendere atto delle rotture determinate da un pensiero (ideologia) occidentale che non regge più, delle tante crepe che si sono aperte e che non possono essere cancellate come si farebbe con una fotografia ricomposta dai suoi frammenti in Photoshop. Le rotture più evidenti sono oggi quelle con la Natura e con gli altri esseri viventi sul pianeta Terra, sono quelle climatiche, sono quelle del dominio di pochi sul resto del mondo, delle ingiustizie che questo dominio ha determinato come risultato dei rapporti di forza e delle leggi/meccanismi della società capitalistica attuale, sono quelle infine delle migrazioni in atto e della guerra. Pensare criticamente a queste rotture (crepe di sistema) porta a mettere in discussione apparati concettuali, categorie e valori di riferimento, ideologie e sovrastrutture cognitive che ci raccontano una realtà razionale, libera, votata al progresso e al benessere, superiore alla natura e dominata da potenti apparati tecnologici. L’obiettivo è di svelare la fallacia mistificante di questa narrazione per insinuarsi nelle sue crepe, con l’obiettivo di aprire spiragli, farne emergere le contraddizioni e l’instabilità previsionale e fattuale, provando a ritrovare ed elaborare senso e pensiero alternativi.
Il senso va ritrovato nella (ri)scoperta di relazioni sociali fondate sull’Altro e sulla sua diversità, sulla solidarietà che ci lega gli uni agli altri come esseri viventi e incarnati sulla terra, sulla responsabilità comune che ci dovrebbe unire invece di dividerci e isolarci. Più che emulare Robinson Crusoe o Ulisse dovremmo forse calarci in carne e ossa dentro i barchini di uomini, donne e bambini, che hanno come unico scopo la “nuda vita”, la nuda esistenza da preservare a ogni costo, il sopravvivere alle crisi e alle carestie, ai flutti e agli sbarchi in terre poco accoglienti e poco ospitali, anche culturalmente. Se vogliamo continuare a definirci Homo sapiens, esseri umani capaci di praticare il gnōthi sautón (γνῶθι σεαυτόν) socratico, dobbiamo però essere consapevoli che per noi umani occidentali la nuda vita è fatta di scelte continue.
Pensa criticamente ed esci dal grande centro commerciale ("il regno a venire") in cui si è trasformato il mondo
Tra queste scelte c’è anche quella di “rimanere umani”, sapendo cosa ciò significhi e come questa scelta nasca dalla continua articolazione tra umano e non umano. Più che a varcare i portali fantascientifici del Metaverso, che ci proiettano in mondi simulati e artificiali, siamo chiamati oggi a varcare soglie umane che ci portino a adottare comportamenti, pensieri e pratiche finalizzate a ricostruire una umanità sofferente, che sembra sempre più in bilico tra l’umano e l’animale, l’umano e il postumano.
Superare la soglia del Nostroverso, attrezzati con pensiero critico e adeguate conoscenze, è oggi l’unico modo per salvaguardare la nuda vita di cui parla il filosofo Agamben, la sua parte biologica e quella sociale. Io direi la sua parte incarnata e la sua parte virtuale e disincarnata. Il primo passo da compiere oltre la soglia è interrogarsi su ciò che non va e farlo criticamente. Il secondo comporta l’uscita dalle monadi senza finestre sul mondo e senza porte dei metaversi, per immaginare universi diversi, o semplicemente per riscoprire l’universo del Nostroverso e dei molteplici multiversi che lo compongono.
il pensiero critico serve ad alimentare la consapevolezza e la speranza necessarie a costruire scenari futuri espansivi
Note
[1] Nel linguaggio filosofico, traslitterazione del gr. ἐπιστήμη, che indicava inizialmente ogni conoscenza abilitante a compiere determinate attività o mestieri, e in seguito, più specificamente, l’aspetto rigoroso e teorico della conoscenza, in contrapposizione sia alla δόξα (opinione), sia alla ἐμπειρία (empirìa) che indicava solo la capacità operativa. (Treccani)
[2] Claudio Magris, Indifesi perché smemorati, “Corriere della sera”, 23 febbraio 2020
[3] Francois Jullien, Il gioco dell’esistenza – De-coincidenza e libertà, Feltrinelli, 2017
[4] Un termine a cui sono molto legato perché usato in una dedica a me fatta da Tiziano Terzani su un suo libro da me acquistato: “A Carlo perché possa strategizzare la pace”.
[5] Pensare deriva dal latino pendere che significa pesare con cura, soppesare, ponderare, ma anche immaginare e concepire con la mente. Collegato al latino cogito («penso, dunque sono»), pensare (cogitare) descrive bene il modo con cui i pensieri si presentano alla mente. Spesso tutti insieme, in movimento e tra loro contrastanti, si agitano come gli ingredienti di un cocktail creando confusione e disordine ma favorendo anche l’emergere di qualcosa di nuovo. Altri significati di pensare vanno ricercati nel vero greco phroneo (da cui φρόνησις «saggezza») e nel tedesco/olandese denken (thenken) da cui, per assonanza, think, thank, nel senso di ringraziare.
[6] Ermanno Bencivenga, La scomparsa del pensiero. Perché non possiamo rinunciare a ragionare con la nostra testa, Feltrinelli. Milano 2017, Pag. 40-41
[7] Come ha scritto BOBBIO, Prefazione (Torino, maggio 1966), in PERELMAN-OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione, Torino, 2013, XVII
[8] Byung-Chul Han, Le non cose, Edizione Einaudi, Torino 2022, Pag. 6
[9] L’Akrasia è un termine di origine greca che sta ad indicare la debolezza di volontà o l’incapacità di agire secondo principi ragionevoli. Per Aristotele l’akrasia è la mancanza di dominio di sé che induce ad agire contro quel che si ritiene essere il meglio.