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La manutenzione gentile della relazione: empatia, compassione e tolleranza.


La mia passione per le relazioni mi porta ad oltrepassare in un continuo impegno a vedere il mondo con gli occhi degli altri, immedesimarmi e ascoltare il mondo con le orecchie degli altri.

Jacob Levy esprime poeticamente tutto questo nel suo “Invito a un incontro”, già altre volte ricordato: 

E quando mi starai vicino io prenderò i tuoi occhi

E li metterò al posto dei miei,

e tu prenderai i miei occhi

e li metterai al posto dei tuoi,

e allora io ti guarderò coi tuoi occhi

e tu mi guarderai coi miei.

 

Così anche la cosa comune invita al silenzio e

il nostro incontro rimane la meta della libertà:

il luogo indefinito, in un tempo indefinito,

la parola indefinita per l’uomo indefinito.

 

È in questa dimensione che si sviluppano empatia, compassione e tolleranza.

L'etimologia della parola relazione è da ricollegarsi al latino relatio, a sua volta da relatus, participio passato di referre = riferire, riportare, stabilire un legame, un rapporto, un collegamento...

A seconda del contesto in cui è usato, il termine relazione acquista sfumature diverse: ad esempio, una relazione su una qualsiasi attività o fatto indica un documento in cui viene più o meno dettagliatamente ed oggettivamente riportata la descrizione del fatto o dell'attività stessa.

Una relazione tra due persone, allude ad un legame di amicizia o ad un legame sentimentale.

In sociologia, le relazioni sociali indicano i processi di comunicazione e di condivisione all'interno e tra gruppi sociali.

In matematica, la relazione indica un collegamento tra elementi di due o più insiemi o tra gli elementi di uno stesso insieme.

Nel mio universo con la parola relazione voglio riferirmi specificatamente al senso di una relazione autentica. Non legame, ma scelta costante di cura, interesse e amore. L’autenticità garantisce il sorgere di una relazione, di una relazione di qualità.

Per manutenerla occorre preferire l’uso di un linguaggio di processo, di un linguaggio di evoluzione, perché in ogni relazione c’è un costante divenire.

Possiamo parlare di rottamazione e quando questa viene applicata alle relazioni provoca una grande sofferenza.

Se prendiamo la definizione che viene data alla rottamazione: “sostituzione di un bene obsoleto con un altro più moderno, favorita da incentivi economici e sgravi fiscali”.

Perché la “carenza relazionale”, il “disagio affettivo” non devono necessariamente essere terapeutizzati.

Quando ci sentiamo rottamati in una relazione?

Quando cambiano i comportamenti, quando si esce da una regolarità di frequentazione, cambiano i regali, cambiano gli inviti, non si fa più parte di quel quotidiano affettivo di cui siamo stati partecipi per anni.

Inoltre ci rendiamo conto che ci sono altri prescelti e il dramma è rendersi conto che non serviamo più, che c’è qualcuno che è nelle condizioni di essere più utile più funzionale.

Siamo stati rimpiazzati.

E l’affetto? E le frasi di meraviglia per quanto importante, quanta amicizia…

A un altro tu dirai le cose che dicevi a me..

Ci sono due aspetti da considerare.

Quando è che ti senti rottamato?:

quando non ti senti più scelto

quando non ti senti preferito

quando ti senti escluso dalla routine che avevi conosciuto

quando non ti senti dire sei la persona migliore che mi potesse capitare

quando ti arriva evidente che sei solo servito, perché quelle cose uniche che appartenevano solo a te adesso vengono fatte senza di te o addirittura con altri

Cosa è che può acquetare un po’ l’animo, la comunicazione per quanto difficile la rassicurazione che il bene e la stima e la considerazione rimangono invarate ma è subentrata una qualche convenienza una qualche funzionalità che fa sì che vengono fatte altre scelte, date altre preferenze.

Ma è significativo anche che la persona “rottamata” si interroghi sul valore che da a quelle sensazioni, cosa aveva riposto in quella relazione, perché magari da una parte era sta stata vissuta con tutta la dedizione e l’amore possibile e dall’altro solo con una manifestazioni di affetto e di apprezzamento funzionali a quel momento, appunto utili!

È su questo aspetto che chi sta soffrendo per sentirsi così può intervenire e lo fa lavorando su di sé, sul suo sentire, sulle sue sensazioni, sui suoi pensieri.

Se c’è sofferenze per ritrovarsi in queste condizioni, è interessante chiedersi cosa si scatena dentro di noi, perché questo bisogno di essere utile, di essere riconosciuto, di essere importante, di essere prescelto.

Dove sta l’inghippo?

E allora se la realtà non può essere cambiata occorre lavorare sulla nostra modalità di percepirla.

E questo lo si può fare riconoscendo quali convinzioni, quali pensieri, quali sensazioni, quale linguaggio, quali atteggiamenti possono sostenere e permettere di accettare un cambiamento significativo. Quali al contrario,  con la loro tossicità,  possono rendere meno sostenibile ciò che deve “comunque” essere affrontato.

Possiamo lavorare costantemente su tutto questo implementando la capacità di dare un senso agli eventi e alla vita, e di modificare la propria visione delle cose e, di conseguenza, anche i propri comportamenti.

Attraverso l’autoosservazione e l’educazione dell’attenzione interna che genera la familiarità con il percepito, la capacità di cogliere i segnali del corpo, si può lavorare sul processo di identificazione e disidentificazione con gli accadimenti, permettendo di vedersi anche fuori dalla dinamica per cogliere la dimensione oggettiva e non solo soggettiva del proprio agire nel mondo: una percezione più ampia e con più possibilità di ciò che ci accade.

Così possiamo cogliere il nostro dialogo interno, ciò che diciamo a noi stessi nel nostro intimo, le emozioni dietro le parole, le sensazioni profonde, allo scopo di trovare più alleanza rispetto all’inimicizia classica che ogni situazione di criticità può rappresentare.

Tutto questo può avvenire se garantiamo una particolare accoglienza, a noi stessi e agli altri per creare qualità di presenza, attenzione  e ascolto, senza giudizi e senza interpretazioni;  offrire un silenzio e un ascolto rispettosi dei vissuti,  per facilitare lo sviluppo delle potenzialità promuovendo il riconoscimento e l’utilizzo funzionale delle risorse fisiche ed emozionali.

Poi c’è la relazione con i nostri pensieri, la relazione con le nostre emozioni, con i nostri sentimenti…

Ed è nella relazione che ciascuno di noi intrattiene in queste diverse dimensioni che avviene ogni tipo di alchimia esistenziale che va a generare il benessere con se stessi e con gli altri, ma soprattutto quello con noi stessi.

Prendiamo i pensieri. E’ liberatorio realizzare che questi sono appunto solo pensieri e non sempre coincidono con noi o con la realtà.

Qualunque pensiero se non viene riconosciuto nella sua accezione rischia di generare ansia e preoccupazioni fino a farci agire come se quel pensiero potesse essere la verità, la realtà.

Riuscire a distanziarsene e a vederlo con chiarezza, potrebbe permetterci di scegliere in modo sensato le nostre priorità, sapremo quando è il caso di lasciar perdere.

Fino a distinguere la forza con cui ci prende, la verità del suo contenuto e riusciamo a tornare al governo della nostra vita, ciascuno con la sua modalità.

L’uso deliberato dell’attenzione è la chiave che apre, la combinazione vincente.

Magari già portandola al nostro respiro al senso del nostro corpo, smettiamo di resistere al disagio che quel pensiero ci provoca e riusciamo ad accettarlo, integrarlo nella realtà che stiamo vivendo.

Ci sono tante pratiche derivanti da diverse discipline che ci allenano nel processo di liberare l’energia contenuta in un pensiero, in una sensazione, di lasciare andare ogni attaccamento ad esso, fino a generare una nuova gerarchia di priorità.

E quel pensiero, quel sentimento, quella sensazione cessano di essere così imponenti, così prepotenti

È chiaro che quanto sopra prevede veramente una scelta consapevole e responsabile di stare nella vita non come “turista per caso” e quindi di poter riflettere ed elaborare funzionalmente i disagi provocati da pensieri e da sensazioni per ridurre i cosiddetti costi relazionali, ma soprattutto per far rimarginare le possibili cicatrici relazionali.

Se questi processi richiedono un allenamento e una consapevolezza profonda, possiamo accogliere l’invito letto sulla news lette della Casa editrice do human che sostiene che arriva un tempo in cui, dopo una vita passata ad aggiungere, sia opportuno iniziare a togliere.

Eccone alcuni:

  • Togli il cuore dai posti dove non c’è più amore.
  • Togli il tempo passato a inseguire le persone.
  • Togli lo sguardo da chi hai dato il permesso di ferirti.
  • Togli potere al passato.
  • Togli le colpe dai tuoi racconti.
  • Togli lo sguardo da chi ti parla alle spalle.
  • Togli i compromessi che ti sporcano le scelte.
  • Togli i sì concessi per adattamento. 

Perché, spesso, la vera ricchezza non è aggiungere, ma togliere.


 

StultiferaBiblio

Pubblicato il 09 aprile 2025

Anna Maria Palma

Anna Maria Palma / Professional Counselor, Emotional Intelligence Coach, Consulente, Ambasciatrice Gentilezza

palma@annamariapalma.eu http://www.annamariapalma.eu